NATURE ASTRONOMY DEDICA QUATTRO ARTICOLI ALL’INQUINAMENTO LUMINOSO

Non riusciremo più a riveder le stelle

I cieli stellati sono patrimonio dell’umanità, hanno molto da raccontare sulla nostra specie, l'hanno guidata nelle rotte per secoli, hanno ispirato scritti e arte, e hanno giocato un ruolo di spessore nel progresso scientifico. Per questo andrebbero protetti: sulla Terra, agendo sulle fonti di inquinamento luminoso e sull'illuminazione artificiale, e nello spazio, regolamentando il lancio dei satelliti che stanno letteralmente invadendo l’orbita terrestre bassa

     20/03/2023

In alto, l’impatto delle scie dei satelliti Starlink sul cielo notturno al di sopra della foresta nazionale di Carson, nel New Mexico (crediti: M. Lewinsky/Creative Commons Attribution 2.0). In basso a sinistra: una fotografia del cielo notturno scattata in Namibia. A destra, una fotografia paragonabile del cielo notturno di Porto in Portogallo. Si noti che le esposizioni sono necessariamente diverse, altrimenti la foto di destra sarebbe stata molto sovraesposta (crediti: F. Falchi et al. Nature Astronomy, 2023)

Ne parlavamo appena due mesi fa: l’inquinamento luminoso è alle stelle. Oggi Nature Astronomy dedica ben quattro pezzi all’argomento: due articoli scientifici – uno sugli effetti dei satelliti in orbita bassa sulle osservazioni astronomiche e uno sulla stima della luminosità del cielo a causa dell’inquinamento luminoso –, un editoriale  e un articolo di commento in cui il primo firmatario è uno dei massimi esperti e studiosi di inquinamento luminoso, Fabio Falchi. Insomma, il problema è serio e la direzione in cui si sta inesorabilmente andando preoccupa studiosi del cielo e costruttori di telescopi. Ma dovrebbe preoccupare anche cittadini e decisori politici. Bisogna agire sulla legislazione, e scienziati e società scientifiche dovrebbero essere in prima linea nel far capire l’importanza e l’urgenza della questione.

Le pedine in gioco sono molte, ma sono due i principali attori di questa deriva luminosa: gli impianti di illuminazione nelle città e le costellazioni di satelliti privati in orbita bassa, come gli Starlink. Da un lato, infatti, l’eccessiva emissione di luce da parte di un numero crescente di sorgenti artificiali sta rendendo progressivamente più difficili o addirittura impossibili le osservazioni astronomiche da terra in molte parti del mondo. E le aree del nostro pianeta che si mostrano illuminate di luce artificiale durante la notte si stanno espandendo. Dall’altro, la crescita del numero di satelliti in orbita bassa aumenta molto la luminosità del cielo e disturba le osservazioni astronomiche sia da terra che, a volte, anche dallo spazio – come di recente testimoniato dal telescopio spaziale Hubble.

Se considerata come la concentrazione di fotoni prodotti dall’uomo nell’atmosfera, la luce artificiale notturna (o artificial light at night, da cui l’acronimo Alan) è un vero e proprio inquinante ambientale. Rientra, infatti, a pieno titolo nella definizione di inquinante antropogenico data dalle Nazioni Unite nel 1979 e in quanto tale va regolamentata. E non è solo una questione di definizione: gli articoli sulle conseguenze biologiche e fisiologiche delle luci notturne sul comportamento umano e animale, e quindi sulla qualità della vita, ormai si sprecano. Eppure sembra che gli unici a preoccuparsene siano gli astronomi, il cui lavoro è direttamente danneggiato a causa dell’aumento dell’illuminazione del cielo, e che invece i benefici dell’aumento delle luci nelle città e nelle periferie, e del numero di satelliti per le telecomunicazioni in cielo, superino di gran lunga gli effetti nocivi. Per questo, Falchi e gli altri firmatari del commento pubblicato su Nature Astronomy insistono sul ruolo fondamentale di astronomi e scienziati nel portare alla luce – in questo caso sì, la luce è fondamentale – il problema.

«Gli astronomi sono ben consapevoli delle conseguenze negative dell’Alan, l’aumento della radianza di fondo che ostacola, più o meno a seconda della sua intensità, la possibilità di fare ricerca astronomica sfruttando appieno le potenzialità dei loro telescopi», si legge infatti nel commento. «E se finora l’hanno risolta costruendo i nuovi telescopi sempre più lontano dalle città, oggi, a causa dell’aumento dell’inquinamento luminoso, non ci sono quasi più luoghi remoti disponibili sulla Terra che soddisfino contemporaneamente tutte le caratteristiche necessarie per l’installazione di un osservatorio (ovvero l’assenza di inquinamento luminoso, un alto numero di notti serene e un buon seeing)».

Il problema, però, non si limita alla consapevolezza e all’inazione. Anche la legislazione – o meglio, la mancanza di un’adeguata legislazione – gioca un ruolo primario. Attualmente manca del tutto una regolamentazione e una supervisione coordinata a livello mondiale, mancano protocolli internazionali chiari per la gestione del traffico orbitale e non sono stati definiti dei standard minimi per l’impatto ambientale di satelliti e inquinamento luminoso in generale.

«Ci rimane il crescente disagio di assistere all’inevitabilità, al rallentatore, di un disastro evitabile in orbita terrestre bassa», scrive nel suo editoriale Aparna Venkatesan, professoressa di fisica e astronomia all’università di San Francisco, e membro comitato sull’inquinamento luminoso, le interferenze radio e i detriti spaziali della American Astronomical Society (Aas). «Sorprendentemente, lo spazio non è ancora esplicitamente regolamentato come ambiente umano. Senza un’applicazione attiva del principio di precauzione allo spazio orbitale, entreremo in un’era di danni potenzialmente irreversibili in orbita terrestre bassa a causa del bilancio complessivo dell’inquinamento in eccesso».

E gli effetti, a dire il vero, sono già sotto gli occhi degli osservatori. Per osservare non basta più essere in un posto isolato durante una serena notte senza luna piena: il numero di notti e il numero di ore per notte in cui il cielo è davvero esplorabile stanno inesorabilmente diminuendo, e se non si prende qualche provvedimento a riguardo i problemi dell’inquinamento luminoso e della contaminazione delle osservazioni da parte delle costellazioni di satelliti diventeranno predominanti.

Che fare, dunque? Secondo Falchi, la storia si ripete. Come nel caso di precedenti battaglie contro altri inquinanti come il tabacco, i Pfas, gli zuccheri e altri, qualunque possibilità di agire tempestivamente viene rallentata dagli inquinatori stessi, che mettono in atto una vera e propria “macchina del dubbio”, discutendo circa l’attendibilità di prove ed evidenze scientifiche. Ma se non si invertirà la tendenza, scrivono Falchi e colleghi, «presto alzando gli occhi al cielo si vedranno decine, centinaia, migliaia di satelliti attraversare la volta in ogni momento e nessun essere umano potrà ammirare il cielo notturno come è sempre stato possibile fare». E anche se si riuscisse a lavorare per attenuare la luminosità dei satelliti rendendoli invisibili a occhio nudo, l’occhio dei telescopi rimane molto più acuto e molti altri problemi rimarranno irrisolti. Tra questi il traffico orbitale, l’inquinamento atmosferico dovuto ai detriti e ai gas di scarico dei razzi e, naturalmente, l’aumento della luminosità di fondo del cielo.

«Poiché non è troppo tardi per fermare tutto questo, noi scienziati e prima di tutto i cittadini dovremmo agire per fermare questo attacco (dall’alto con i satelliti e dal basso con Alan) alla notte naturale e al patrimonio culturale intangibile dei cieli stellati», si legge a conclusione dell’articolo di commento. «È il momento di prendere in considerazione il divieto di lanciare mega-costellazioni e di promuovere una riduzione significativa dell’Alan e del conseguente inquinamento luminoso. Il nostro mondo ha decisamente bisogno di un “new deal” per la notte».

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