LA NOMINA DEL PROSSIMO CONSIGLIERE AVVERRÀ ALL’INIZIO DEL 2023

Intervista a Laura Calafà, consigliera di fiducia Inaf

«La pandemia ha allontanato tutti dagli istituti e questo secondo me ha contribuito: ho visto molti più casi rispetto a prima», dice Laura Calafà alla fine del suo mandato come consigliera di fiducia dell’Istituto nazionale di astrofisica per il triennio 2019-2022. Una figura di riferimento per questioni che riguardano molestie sessuali, morali e conflitti sul luogo di lavoro

     21/12/2022

Laura Calafà, prima consigliera di fiducia dell’Inaf nel triennio 2019-2022

Si conclude fra pochi giorni il primo mandato della consigliera di fiducia dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), un incarico durato tre anni e coperto da Laura Calafà, professoressa ordinaria di diritto di lavoro all’università di Verona, ricercatrice e specializzata in diritto antidiscriminatorio. La sua esperienza con gli enti pubblici l’aveva già vista impegnata, prima dell’Inaf e per due mandati, nello stesso ruolo di consigliera all’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn). Un’esperienza irrinunciabile, quella di entrare nell’arena degli enti di ricerca e vivere attivamente le situazioni che studia e insegna nei suoi corsi. Media Inaf l’ha intervistata per capire meglio di cosa si occupa il consigliere di fiducia, e per sentire come sono andati questi tre anni.

Come ricercatrice che lavora ogni giorno nell’ambito del diritto del lavoro e delle discriminazioni, cosa l’ha spinta a candidarsi per questo primo mandato nel nostro ente?

«È vero, da molto tempo lavoro come ricercatrice in quest’ambito, tengo anche un corso di perfezionamento per i consiglieri di fiducia e collaboro in maniera stretta con la Rete dei comitati unici di garanzia. Proprio per questo, per capire fino in fondo ciò di cui c’è bisogno e per vedere direttamente come sta andando e che cosa sta succedendo negli enti, ogni tanto entro dentro l’arena in prima persona. Non si può rimanere sempre all’esterno: io mi occupo di discriminazioni, di violenza, di molestie, di diritto del lavoro, di benessere e voglio capire come si vive negli enti».

Come mai è nata solo tre anni fa l’esigenza di avere una figura come il consigliere di fiducia in Inaf?

«Credo che ogni ente, da questo punto di vista, abbia visto un’evoluzione negli ultimi anni. Nel caso dell’Inaf, è stata la prima volta che il codice di condotta e il codice etico prevedevano un’attuazione attraverso un consigliere di fiducia. A innescare il processo, in Inaf come in altri enti, ci sono alcuni organi interni come il comitato unico di garanzia (Cug), che attraverso la rete nazionale dei comitati unici di garanzia ha consolidato un expertise. Non si arriva a nominare un consigliere se non c’è un comitato unico che funziona e che lavora sul codice. Inaf, poi, come ente, nasce dall’accorpamento degli osservatori e quindi ha anche una sua storia personale che si è dovuta intrecciare con queste dinamiche. Direi, quindi, che le tempistiche sono fisiologiche».

E per quanto riguarda le tempistiche degli istituti italiani rispetto a quelli esteri?

«Storicamente, i Cug nascono nel 2010, seguono le direttive della funzione pubblica sono del 2011 e del 2019 quella che rivede l’assetto complessivo dei comitati. Il percorso è stato avviato da circa dieci anni e il periodo di maturazione varia da ente a ente. In generale, comunque, l’attività svolta dai consiglieri di fiducia porta l’Italia a essere allineata all’estero. Una precisazione, però: stiamo parlando di enti pubblici. Per i privati, purtroppo, non si può dire lo stesso. Mentre in Italia i codici etici e le attività dei consiglieri di fiducia esistono e operano strutturalmente solo negli enti pubblici, all’estero ci sono sia nel pubblico che nel privato. E questa è una grande differenza e una grande distanza che il nostro paese deve ancora coprire».

Quindi, com’è andata?

«Devo dire che nell’attività che ho svolto – come scriverò nella relazione di fine mandato – c’è stato un forte condizionamento della pandemia. La pandemia ha bloccato molte attività all’interno degli istituti e anche la mia modalità di lavoro è cambiata. Prima dell’Inaf avevo fatto la consigliera di fiducia a Infn per due mandati, ed ero continuamente in movimento in tutte le sedi: incontravo persone, organizzavo piccoli gruppi di discussione e di lavoro, facevo dei seminari. Poi c’erano anche i casi, certo, però l’attività principale che svolgevo era quella di accompagnamento. Invece la pandemia ha allontanato tutti dagli istituti e questo secondo me ha contribuito molto: ho visto molti più casi rispetto a prima. C’è stata una maggior attenzione ai casi anche perché poi, in questi anni, il singolo era da solo. Ho l’impressione che l’effetto della pandemia e del disagio collegato si protrarrà molto anche nel prossimo triennio perché le persone hanno vissuto male in questo periodo e portano con sé delle criticità, degli strascichi».

Se dovesse fare un bilancio?

«Parlando di numeri, i casi che ho affrontato sono stati poco più di una una ventina. Nella Relazione annuale che scrivo per l’ente, nel rispetto del segreto professionale, inserisco solo i numeri di riferimento rispetto alla collocazione geografica e al ruolo rivestito. Ad esempio, rispetto agli anni scorsi c’è stata una variazione e un’estensione della platea di persone che hanno fatto richiesta. Al consigliere di fiducia hanno chiesto un confronto non solo il personale tecnico o amministrativo, ma anche i ricercatori e chi svolge attività organizzativa, per ragionare insieme di problemi diversi».

Spieghi meglio…

«In Inaf l’attenzione alla consigliera è stata di tutto il personale, non solo di chi lavora stabilmente in un ufficio, a fianco di colleghi e colleghe, ma anche di chi svolge attività di ricerca, va in missione, organizza il lavoro altrui. Purtroppo, non posso dirle molto di più sui casi specifici e non posso fare esempi, perché rispetto la clausola di riservatezza».

Attenzione, cioè bisogno?

«Non necessariamente. L’attenzione non sempre è un bisogno. A volte basta parlarne: si può capire molto attraverso un semplice confronto, o analizzando un fatto insieme ancora prima che si generi un vero e proprio conflitto. Il primo ruolo del consigliere di fiducia è ascoltare. Io non sono una psicologa, e di conseguenza non svolgo un’attività di accoglienza psicologica. Quello che faccio è più che altro un ascolto organizzativo. Vuol dire parlare di un problema, provare ad affrontarlo e ridimensionarlo insieme, oppure se si tratta di un conflitto si svolge provare a mediare fra le parti per superare le criticità».

Quando ci si rivolge, quindi, al consigliere?

«Il codice di condotta dell’Inaf traccia due percorsi. Il primo è quello della molestia, intesa come molestia sessuale, e tutto quello che è collegato a questa dalle richieste esplicite, alle promesse, agli apprezzamenti. Nel primo punto dell’articolo 4 del codice di condotta sono elencati esplicitamente diversi casi a riguardo. C’è poi un secondo punto dello stesso articolo, e riguarda la molestia morale e/o i conflitti. Anzi, le dirò di più: un codice come il vostro manifesta proprio la centralità del ruolo della molestia morale e del mobbing, e questo è importantissimo perché nei luoghi di lavoro è molto più facile che si presenti una situazione di questo tipo. Anche qui, nel documento ci sono una serie di situazioni elencate. L’idea del codice è che tutti, in Inaf, debbano collaborare per migliorare l’ambiente di lavoro».

Se dovesse fare un bilancio di Inaf, come ente, riguardo queste tematiche?

«Non ho un quadro complessivo di tutti gli enti pubblici, ma direi che è in linea con quello che si registra negli altri. In generale è quel che mi aspettavo, e comunque ci tengo a precisare che il consigliere di fiducia non è colui che può risolvere i problemi. È una figura che ascolta, che organizza incontri fra le parti, che chiama in causa anche chi può decidere, ma che non può prendere alcuna decisione definitiva, non applica una sanzione per capirci. Nel corso di perfezionamento per consiglieri di fiducia abbiamo tipizzato tanti ruoli rivestiti dalla consigliere. A volte, può diventare una sorta di capro espiatorio, alla Malaussène di Pennac».

Qualcosa che si può migliorare?

«Una cosa che sta succedendo recentemente è che Inaf ha dato l’incarico per gestire la formazione riguardo le conflittualità. Si tratta di alcuni seminari organizzati con degli psicologi che accompagnano il personale nella gestione delle conflittualità. Credo che sia un investimento su cui si stanno mobilitando tutte le sedi, alcuni sono obbligatori e alcuni facoltativi. In generale, oggi gli enti pubblici hanno un grosso carico rispetto al benessere di chi lavora. E non parlo solo della consigliera di fiducia, ma anche della rete dei referenti per la salute e la sicurezza, che in Italia si deve occupare anche di rischi psico-sociali. La salute del lavoratore non è più solo intesa come salute fisica ma come equilibrio psicosociale del lavoratore. Trovo che sia un modo molto intelligente di gestire il lavoro, perché riconosce che la componente umana può influenzare la resa e giocare un ruolo. Ed è molto importante perché questa componente riguarda tutti, da quelli che siedono nello stesso ufficio tutti i giorni e tutta la vita a quelli che vanno a osservare, viaggiano di più e incontrano colleghi in questo modo, a quelli che invece lavorano solo da casa. Io sono arrivata in una prima fase di applicazione, e ho l’impressione che chi arriverà dopo di me ha un lavoro importante di consolidamento da fare».

Qualcosa di buono, invece, che ha visto all’Inaf?

«In Inaf ho incontrato davvero molte persone con cui l’iterazione è stata di alto profilo, persone che svolgono attività di coordinamento e si prendono a cuore in prima persona di risolvere problemi e disservizi. Ho incontrato persone molto valide e generose. Purtroppo, però, la mia esperienza è stata limitata e quel che sono riuscita a fare nelle poche sedi che ho visto non è bastato. Devo ammettere che ci sono stati dei momenti in cui mi sono divertita. Penso che chi ha la possibilità di lavorare nel settore della ricerca sia una persona più fortunata di altre».

Vuole consegnare un messaggio, insieme al testimone, al prossimo consigliere di fiducia?

«Parto da una riflessione: quello che mi è dispiaciuto in questi anni di mandato è non aver respirato a sufficienza l’aria delle diverse sedi. Ho l’impressione che potrei non aver capito benissimo l’ente, le sue logiche, le persone che ci lavorano e alcune situazioni perché non ho avuto la possibilità di incontrarle fisicamente e di vedere i loro ambienti di lavoro e di vita. Mi manca un po’ non aver conosciuto direttamente gli ambienti, nei loro aspetti positivi e negativi. Finisco il mio mandato e questo è il mio dispiacere. Anche perché, per esperienza, a volte si risolvono casi anche senza trattarli direttamente, ma semplicemente organizzando un seminario in una sede in cui si è verificato un determinato problema e parlandone. Il/la prossimo/a consigliere di fiducia secondo me dovrà tentare di costruire il lavoro essendo fisicamente più presente. Io non ho potuto farlo ma ci tengo a ribadire che penso sia fondamentale».