SU SCIENCE ROBOTICS UNO STUDIO FIRMATO ESA, DLR E ALTRE ISTITUZIONI EUROPEE

Comandare i rover dallo spazio si può

I rover e gli astronauti diventeranno ottimi compagni per le esplorazioni spaziali? Pare proprio di sì. Per esplorare superfici remote e buie di pianeti sconosciuti, i rover potranno essere comandati da astronauti in orbita attorno al corpo celeste in esame con una tecnica sviluppata dal gruppo di ricerca internazionale che ha condotto lo studio. Protagonista della prima parte dell’esperimento è stato l'astronauta Luca Parmitano, che ha guidato il rover Interact dalla Iss

     06/05/2022

ll rover Interact di Analog-1. Crediti: Esa

Lo studio sul campo della geologia della superficie dei corpi celesti con i robot è una parte fondamentale delle tabelle di marcia per l’esplorazione spaziale, sia per la ricerca scientifica in sé sia per l’utilizzo di risorse in situ. Un gruppo di ricerca dell’Agenzia spaziale europea (Esa), del Centro aerospaziale tedesco (Dlr) e del mondo accademico e industriale europeo ha sviluppato una tecnica che consente agli astronauti in orbita di controllare i rover che esplorano le superfici planetarie. Nel 2019, durante l’esperimento Analog-1, l’astronauta Luca Parmitano a bordo della Stazione spaziale internazionale (Iss) ha comandato il rover Interact per raccogliere campioni di roccia in un ambiente sulla Terra che simulava la superficie lunare. I risultati ottenuti dal gruppo di ricerca sono stati pubblicati ad aprile su Science Robotics.

La superficie di un corpo celeste può essere non strutturata, scarsamente illuminata e complessa. Per alcune attività, come il campionamento geologico in ambienti sconosciuti, la possibilità di far funzionare una macchina a distanza sotto il controllo umano è fondamentale. L’idea è semplice: l’astronauta rimane in orbita al sicuro ed è abbastanza vicino al rover per la sua supervisione diretta e per comandarlo a distanza. Ma la realizzazione è una vera e propria sfida tecnologica.

Per superare i limiti di un’operazione di questo tipo, è stato sviluppato un metodo di controllo che garantisce stabilità anche con un alto ritardo nei segnali fra operatore e robot senza riduzione della velocità o perdita di precisione nel posizionamento. Inoltre, grazie ad alcune proprietà intrinseche, si riescono a impedire impatti violenti del rover.

«La nostra interfaccia di controllo a sei gradi di libertà incorpora il feedback della forza fornita al robot in modo che l’astronauta possa sperimentare proprio ciò che sente il rover, addirittura le rocce che tocca», spiega Aaron Pereira del Dlr, «ciò che fa è aiutare a compensare eventuali limitazioni di larghezza di banda, scarsa illuminazione o ritardo del segnale per dare un vero senso di immersione, il che significa che l’astronauta si sente come se fosse lì sulla scena».

Il team del laboratorio Human Robot Interaction (Hri) dell’Esa e del Centro di robotica e meccatronica del Dlr ha lavorato a una serie di test progressivamente più complessi, prima sulla Terra e poi in orbita.

«Dovevamo eseguire esperimenti di fattibilità dallo spazio perché ricerche passate hanno dimostrato che l’assenza di gravità può diminuire le prestazioni umane durante le attività che richiedono forza e movimento», commenta Thomas Krueger, ingegnere robotico a capo del laboratorio Human Robot Interaction, «questo e altri fattori ambientali peculiari ci hanno fatto capire che le simulazioni sulla Terra non sarebbero state sufficienti».

L’ambiente che simulava la superficie lunare a Valkenburg. Crediti: Esa-G. Porter

Questi sforzi sono culminati nella prima parte dell’esperimento Analog-1 alla fine del 2019. L’esperimento è stato condotto in uno scenario analogo alla superficie lunare preparato a Valkenburg, nei Paesi Bassi. Come abbiamo anticipato, l’astronauta Luca Parmitano ha manovrato il robot mobile dotato di una pinza per raccogliere campioni mentre era a bordo della Stazione spaziale internazionale e il rover si muoveva sulla Terra.

Nell’ambiente simulato, c’erano tre siti di campionamento e i percorsi tra i siti erano contrassegnati da dei piccoli coni. In ogni sito, Parmitano ha selezionato due campioni di roccia.  Durante una prima prova effettuata il 18 novembre 2019, l’astronauta ha visitato un sito di campionamento. Poi, il 25 novembre 2019, li ha visitati tutti e tre. Il test è durato circa due ore ed è stato un successo, con un ritardo di comunicazione di andata e ritorno del segnale costantemente compreso fra 770 e 850 millisecondi.

Il gruppo del Dlr ha progettato un algoritmo di controllo che potesse funzionare in modo stabile nonostante questo ritardo. «Poiché c’è un ritardo nel feedback della forza ricevuta dall’operatore, il robot potrebbe continuare a muoversi anche dopo che ha colpito una roccia», spiega Pereira, «e ciò potrebbe portare il robot a perdere la sincronizzazione con il suo controller, vibrando come un matto o addirittura danneggiandosi».

L’astronauta Luca Parmitano controlla il rover dalla Stazione spaziale internazionale. Crediti: Esa-Nasa

Il robot non deve mai usare più energia di quella complessiva stabilita dall’operatore che lo comanda. Così, se il robot muovendosi colpisce improvvisamente una roccia, non ha a disposizione l’energia extra che gli servirebbe per continuare a muoversi.

«Quando spingi un bambino o una bambina su un’altalena, non andrà mai più in alto del primo swing e con l’attrito via via oscillerà gradualmente sempre più in basso», commenta Pereira, «allo stesso modo, ad esempio, quando il braccio del robot colpisce improvvisamente una roccia, per farlo muovere ancora ci vorrebbe energia extra che l’astronauta, però, non ha stabilito e così si riduce l’energia di comando rallentando il braccio. Poi, dopo il ritardo di 850 millisecondi, l’astronauta sente la roccia e può decidere di fornire un’energia extra per spingerla via».

Questa tecnica prende il nome di Time Domain Passivity Approach for High Delay e, secondo il team, dovrebbe essere in grado di funzionare bene anche con tempi di ritardo più elevati.

Dopo l’ambiente lunare simulato, il passo successivo è studiare cosa accade in un caso più realistico. «Il limite principale del lavoro svolto finora è che il nostro ambiente lunare analogico manca di realismo», conclude Krueger, «infatti, quest’estate realizzeremo la seconda parte dell’esperimento Analog-1, che si svolgerà sulle pendici vulcaniche dell’Etna, come parte di una più ampia campagna robotica internazionale di test, chiamata Arches».

Per saperne di più:

  • Leggi su Science Robotics l’articolo “Exploring planet geology through force-feedback telemanipulation from orbit“, di Michael Panzirsch, Aaron Pereira, Harsimran Singh, Bernhard Weber, Edmundo Ferreira, Andrei Gherghescu, Lukas Hann, Emiel den Exter, Frank van der Hulst, Levin Gerdes, Leonardo Cencetti, Kjetil Wormnes, Jessica Grenouilleau, William Carey, Ribin Balachandran, Thomas Hulin, Christian Ott, Daniel Leidner, Alin Albu-Schäffer, Neal Y. Lii e Thomas Krueger