POTREBBE SPIEGARE L’ECCESSO DI ANTIMATERIA NELLA VIA LATTEA

Fasci d’antimateria lanciati da una pulsar

Un’immagine del Chandra X-ray Observatory della Nasa mostra un filamento estremamente lungo di materia e antimateria che si estende da una pulsar relativamente piccola. La sua enorme estensione, dicono due astrofisici della Stanford University, può spiegare il numero sorprendentemente grande di positroni che gli scienziati hanno misurato nella Via Lattea

     15/03/2022

La stragrande maggioranza dell’universo consiste di materia ordinaria, non di antimateria. E già questo è uno dei più grandi misteri della fisica, perché all’inizio dei tempi le due – materia e antimateria – erano presenti in ugual quantità. Gli astronomi continuano comunque a rilevare un numero significativo di positroni – le antiparticelle degli elettroni – nella nostra galassia. E qui la seconda domanda: da dove viene questa antimateria? Una possibile risposta l’hanno data recentemente due ricercatori che hanno firmato la scoperta di un lunghissimo fascio di materia e antimateria. Le osservazioni, condotte con l’osservatorio spaziale a raggi X Chandra della Nasa e supportate da diversi osservatori terrestri, hanno misurato che esso si estende per oltre 64mila miliardi di chilometri ed è alimentato da una pulsar – una stella collassata in rapida rotazione e con un forte campo magnetico.

Immagine a raggi X e ottica della pulsar J2030. Crediti: raggi X: Nasa/Cxc/Stanford Univ./M. de Vries; Ottico: Nsf/Aura/Gemini Consortium

Lo vediamo nell’immagine qui sopra: il pannello di sinistra riesce a contenere, pensate, solo circa un terzo della lunghezza del fascio dalla pulsar Psr J2030+4415 (J2030 in breve), distante più o meno 1600 anni luce dalla Terra. J2030 è un oggetto denso, grande come una città, che si è formato dal collasso di una stella massiccia e che attualmente gira su sé stesso circa tre volte al secondo. I raggi X osservati da Chandra (in blu), mostrano le particelle che fluiscono dalla pulsar lungo le linee del campo magnetico, a circa un terzo della velocità della luce. A destra invece si vede la pulsar nel dettaglio. I dati ottici provenienti dal telescopio Gemini a Mauna Kea, Hawaii, appaiono rossi, marroni e neri.

Cominciamo dall’inizio. Gli astronomi hanno scoperto per la prima volta questo filamento nel 2020, ma non sono riusciti ad apprezzarne la sua lunghezza per intero perché si estendeva oltre il bordo del rivelatore di Chandra. Si sono quindi rese necessarie nuove osservazioni, che gli scienziati sono riusciti a condurre a febbraio e novembre 2021, e che mostrano che il filamento è circa tre volte più lungo di quanto originariamente visto: si estende per circa la metà del diametro della Luna piena nel cielo, il più lungo mai visto.

«È incredibile che una pulsar di soli 16 km di diametro possa creare una struttura così grande, che possiamo vedere da migliaia di anni luce di distanza», commenta Martijn de Vries, ricercatore della Stanford University di Palo Alto, in California, e primo autore dello studio accettato per la pubblicazione su The Astrophysical Journal. «Volendo fare un paragone per dimensioni, se il filamento si estendesse da New York a Los Angeles la pulsar sarebbe circa cento volte più piccola del più piccolo oggetto visibile a occhio nudo».

Come si spiega allora, questa straordinaria osservazione? La prima risposta che hanno dato i ricercatori è che la pulsar possiede due caratteristiche estreme – la rotazione veloce e gli intensi campi magnetici – che consentono l’accelerazione delle particelle e l’emissione di radiazione ad alta energia – responsabile della formazione di coppie di elettroni e positroni. Per essere precisi, si tratta del processo di conversione della massa in energia notoriamente determinato dall’equazione E = mc2 di Albert Einstein, ma invertito, per convertire energia in massa. I positroni prodotti, poi, verrebbero dispersi nella galassia. Solitamente però, le pulsar generano venti di particelle cariche che rimangono confinate all’interno dei loro potenti campi magnetici. J2030 sta viaggiando attraverso il mezzo interstellare a più di un milione e mezzo di chilometri all’ora, trascinandosi il vento dietro di sé. Una massa di gas si muove davanti alla pulsar, esattamente come la massa d’acqua che si raccoglie sulla prua di una barca in movimento. Fino a qui, nulla di nuovo. Ciò che ha consentito a queste particelle cariche di scappare è accaduto, secondo quanto hanno potuto ricostruire i ricercatori, circa 20-30 anni fa, quando il movimento si è improvvisamente arrestato: la pulsar ha raggiunto quest’onda di gas che le viaggiava a prua provocando un’interazione con il campo magnetico interstellare, innescando la fuga di particelle. Il campo magnetico del vento della pulsar si è collegato al campo magnetico interstellare, e gli elettroni e i positroni ad alta energia sono schizzati fuori attraverso un canale generato dalla connessione.

Non è la prima volta, comunque, che viene avvistata antimateria nelle vicinanze di alcune pulsar. Altre osservazioni avevano rivelato grandi aloni di positroni energetici visibili ai raggi gamma attorno a pulsar vicine. In quel caso, però, questi rimanevano confinati nel campo magnetico della pulsar, non riuscendo a spiegare, quindi, l’eccesso di positroni che gli scienziati rilevano nella Via Lattea. I filamenti scoperti in questo studio, invece, mostrano che le particelle possono effettivamente sfuggire nello spazio interstellare, e alla fine potrebbero anche raggiungere la Terra.

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