METEORITE MARZIANO DATATO CON UNA PRECISIONE DI 20 MILIONI DI ANNI

Chiedere l’età alle rocce aliene si può: con Codex

Ultimato un prototipo che migliora di circa cinque volte, rispetto alle precedenti misure, la datazione in situ di rocce marziane e lunari. La miniaturizzazione dello strumento offrirebbe un’alternativa al ritorno dei campioni sulla Terra e consentirebbe di organizzare eventuali missioni di rientro in modo più mirato

     02/07/2020

Con cinque laser e uno spettrometro di massa ospitati in un cubo da 50 cm di lato, lo strumento Codex è progettato per vaporizzare minuscoli frammenti di roccia e misurare gli elementi presenti, così da determinarne l’età con precisione mai raggiunta prima. Crediti: Tom Whitaker, Swri

Lo studio della storia geologica e della composizione chimica delle rocce costituenti i corpi celesti più vicini alla Terra è una questione di elevato interesse, ed è oggetto di diverse missioni spaziali in fase di progettazione. In particolare – nel caso specifico della Luna e di Marte – la pianificazione riguarda il cosiddetto “sample return”, che rimanda le analisi sui campioni al loro rientro sulla Terra. Sebbene disporre dei campioni di roccia extraterrestre nei laboratori qui sulla Terra sia desiderabile, in quanto consente di sfruttare tecniche di analisi molto precise, la cosa comporta non poche difficoltà logistiche ed economiche. In primis, la necessità di coordinare – in alcuni casi – non una bensì due missioni, abbastanza vicine temporalmente e nello stesso luogo, per organizzare il ritiro. Inoltre, la necessità di collezionare campioni provenienti da una regione nota con precisione limita considerevolmente la diversità geografica dei campioni raccolti, richiedendo la pianificazione di missioni multiple al fine di ottenere una visione completa della storia geologica del corpo celeste indagato.

Costi e rischi si riducono notevolmente in caso di analisi in situ, progettando l’aggiunta di strumentazione atta alla geocronologia alla palette di strumenti scientifici in dotazione ad una missione. Questa tecnica si rivela inoltre uno strumento prezioso anche in previsione di un sample return, in quanto consente di identificare i campioni scientificamente più interessanti da raccogliere e analizzare più dettagliatamente sulla Terra. Quindi, come si suol dire, “se la montagna non viene a Maometto…”

Gli scienziati del Southwest Research Institute (Swri), Stati Uniti, stanno sviluppando in laboratorio uno spettrometro di massa per la ionizzazione a risonanza compatto per determinare l’età dei campioni planetari in loco. Il team sta progressivamente miniaturizzando il Chemistry, Organics and Dating Experiment (Codex), letteralmente lo strumento di analisi chimica, organica e datazione – per raggiungere una dimensione adatta alle missioni spaziali.

«La datazione in situ è un importante obiettivo scientifico identificato dalla Decadal Survey del National Research Council per Marte e la Luna, nonché dai Lunar and Mars Exploration Program Analysis Groups, entità responsabili di fornire l’input scientifico necessario per pianificare e stabilire le priorità delle attività di esplorazione», dice lo scienziato del Swri F. Scott Anderson, a capo dello sviluppo di Codex. «Fare queste analisi sul posto, piuttosto che cercare di riportare i campioni sulla Terra per la valutazione, può risolvere i principali problemi della scienza planetaria, offre enormi risparmi sui costi e aumenta le opportunità per l’eventuale rientro dei campioni.»

Codex sarà un po’ più grande di un fornetto a microonde e includerà sette laser e uno spettrometro di massa. Le misurazioni in situ affronteranno questioni fondamentali per ricostruire la storia del Sistema solare, fra cui la potenziale abitabilità di Marte nel passato. Secondo gli sviluppi più recenti, pubblicati su Planetary and Space Science, Codex ha raggiunto una precisione nella datazione di circa 20-80 milioni di anni, significativamente più accurata dei metodi di datazione attualmente in uso su Marte – che hanno una precisione di 350 milioni di anni.

«Codex utilizza un laser ad ablazione per vaporizzare una serie di minuscoli frammenti di campioni di roccia, come quelli sulla superficie della Luna o di Marte», continua Anderson, primo autore dell’articolo. «Alcuni elementi vengono riconosciuti direttamente dal pennacchio di vapore prodotto, permettendoci di capire di cosa sia fatta una roccia. Poi gli altri laser di Codex individuano e quantificano selettivamente le abbondanze di rubidio radioattivo (Rb) e stronzio (Sr). Un isotopo di Rb decade in Sr secondo tempistiche note, pertanto misurando sia Rb che Sr, possiamo determinare quanto tempo è passato da quando la roccia si è formata».

La radioattività è una tecnica standard per la datazione dei campioni sulla Terra, tuttavia pochi altri luoghi del Sistema solare sono stati datati in questo modo. La tecnica più diffusamente impiegata per la ricostruzione cronologica delle superfici planetarie si basa sulla conta dei crateri da impatto.

«L’idea alla base della datazione dei crateri è semplice; più crateri ci sono, più vecchia è la superficie», spiega Jonathan Levine, fisico della Colgate University e coautore del lavoro. «È un po’ come dire che una persona si bagna proporzionalmente al tempo trascorso sotto la pioggia. È indubbiamente vero. Ma, come per la pioggia, non sappiamo a che velocità i meteoriti sono piovuti dal cielo. Ecco perché la datazione dei radioisotopi è così importante. Il decadimento radioattivo è un orologio che scorre a una velocità nota. Queste tecniche consentono di determinare accuratamente l’età delle rocce e dei minerali, permettendo agli scienziati di datare eventi come la cristallizzazione, il metamorfismo e gli impatti.»

L’ultima versione di Codex è stata testata sul meteorite marziano Zagami: con una preparazione minima del campione analizzato – limitata a una breve pulizia manuale – il campione è stato datato 150 milioni di anni fa con un’incertezza di soli 20 milioni di anni, cinque volte più precisamente di qualunque misurazione precedente. Questa precisione è stata in gran parte ottenuta modificando la distanza del campione di roccia dallo strumento, nonché la sua geometria, studiata in modo da bloccare l’ingresso di plasma e ioni ablati nello spettrometro. Lo strumento include anche un laser ad impulsi ultraveloce e un migliore rapporto segnale/rumore per determinare più accuratamente la cronistoria degli eventi nel Sistema solare.

«Stiamo miniaturizzando i componenti Codex per l’uso sul campo in una missione terrestre sulla Luna o su Marte», dice Anderson. «Sviluppare laser compatti con energie di impulso paragonabili a quelle di cui abbiamo attualmente bisogno è una sfida considerevole, anche se cinque su sette di essi sono stati miniaturizzati con successo. Questi laser hanno una frequenza di ripetizione di 10 kHz, che permetterà allo strumento di acquisire dati 500 volte più velocemente rispetto alle attuali progettazioni ingegneristiche.»

Lo spettrometro di massa Codex, gli alimentatori e l’elettronica di rilevamento temporale sono già abbastanza piccoli per il volo spaziale. I componenti dello strumento sono stati migliorati per migliorare la robustezza, la stabilità termica, la resistenza alle radiazioni e l’efficienza energetica per sopportare il lancio e le operazioni autonome in ambienti extraterrestri.

Puntando all’adattabilità a diverse missioni future, il SwRI sta sviluppando due versioni dello strumento: Codex, progettato per misurare sostanze organiche su Marte, e Cdex, progettato per la Luna, che non prevede la misura di questo tipo di sostanze.

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