IDENTIKIT DEI PROGENITORI DELL’EVENTO GW 150914

Quei due buchi neri non erano gemelli

Le onde gravitazionali del 14 settembre 2015 sono l’argomento di una ricerca pubblicata su Physical Review Letters. Lo studio mette alla prova l’ipotesi che all’origine dell’evento vi fosse una coppia di buchi neri di una stessa stella morente. Ipotesi non suffragata dal confronto con i dati osservativi

     20/12/2017

Rappresentazione artistica di onde gravitazionali che si propagano da buchi neri in coalescenza all’interno di una stella. Crediti: Kyoto University, Joseph M. Fedrow

Sono passati nemmeno due anni dalla conferma dell’esistenza delle onde gravitazionali. L’onda d’urto della clamorosa conferma, a quasi cento anni dalla teoria descritta da Albert Einstein, ha colpito anche la comunità di scienziati, che di fronte a un’evidenza scientifica non potevano che interrogarsi su nuove ipotesi. Ecco così che un team di ricercatori guidato da Joseph Fedrow, scienziato dell’Università di Kyoto, ha pubblicato sulla rivista Physical Review Letters i risultati di uno studio sulle possibili tipologie di buchi neri in relazione alle condizioni dell’ambiente circostante all’origine dell’onda gravitazionale rilevata dagli interferometri di Ligo nel 2015. La domanda era: come e dove si sono formati i buchi neri che hanno generato l’evento Gw 150914, quello che ha portato all’assegnazione del premio Nobel per la Fisica al team di Ligo e Virgo?

«Sebbene le onde gravitazionali ci abbiano consentito di rilevare direttamente i buchi neri per la prima volta, non ne conosciamo ancora le origini esatte», dice Fedrow. Tra le molteplici ipotesi, quella presa in considerazione dal suo team è se sia plausibile che i due buchi neri abbiano avuto origine all’interno della stessa stella, dunque nell’ambiente denso di un unico astro molto massiccio. «Un’idea è che questi buchi neri si possano essere formati durante la frammentazione dinamica del nucleo interno di una stella morente soggetta a collasso gravitazionale». Questa condizione, secondo lo scienziato dell’accademia di Kyoto, avrebbe potuto far sì che due dei frammenti diventassero buchi neri e orbitassero l’uno attorno all’altro nei resti dell’ambiente stellare. Per mettere alla prova questa ipotesi, il team ha utilizzato un supercomputer e gli strumenti della relatività numerica, così da creare un modello di due buchi neri in tali ambienti. Dopo molte lunghe ore di calcolo l’output è stato confrontato con i dati osservativi di Ligo.

«I risultati sono stati considerevolmente diversi», spiega Fedrow, «mostrando che se i buchi neri si fossero formati in un ambiente stellare ad alta densità, sarebbe stato necessario meno tempo per la loro fusione». Se invece la densità viene abbassata a livelli più simili allo spazio vuoto, le onde gravitazionali risultanti corrispondono a quelle dell’evento osservato. Oltre a far luce sulla dinamica dei buchi neri binari, questi risultati riaffermano che le prime onde rilevate da Ligo provenivano da buchi neri in una regione vuota dello spazio.

Insomma, l’ipotesi dei due buchi neri gemelli è stata bocciata dai dati. «Questa nuova, entusiasmante, era dell’astronomia delle onde gravitazionali non sappiamo cosa ci farà scoprire, o dove ci condurrà», conclude Fedrow. «Ma questo nostro lavoro aiuterà a illuminare sentieri inesplorati e gli oggetti più oscuri dell’universo.»

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