CONDOTTI TERMICI COME SPIEGAZIONE UNIVERSALE

Così si raffredda un pianeta roccioso

Uno studio, pubblicato su Earth and Planetary Science Letters, presenta un nuovo e potenzialmente rivoluzionario meccanismo di raffreddamento planetario che promette di darci informazioni riguardo a tutti i pianeti rocciosi nella nostra galassia.

     21/09/2017

Io, in un’immagine che mostra un geyser prodotto da uno dei suoi numerosi vulcani. Crediti: Nasa

Tutti i pianeti rocciosi del nostro sistema solare, e – cosa ancora più importante – persino quelli in orbita attorno ad altre, lontane stelle, avrebbero una storia geologica in comune. Questo è quanto suggerisce uno studio pubblicato su Earth and Planetary Science Letters, che ha l’ambizione di proporre un nuovo modello per il meccanismo di raffreddamento dei pianeti rocciosi – come la Terra, Marte, Venere, e molti altri corpi nel nostro Sistema solare – che sarebbe infatti applicabile a tutti i pianeti di questo tipo, compresi quelli troppo lontani per essere osservati direttamente.

I pianeti rocciosi nel nostro vicinato posseggono tutti delle caratteristiche in comune: principalmente formazioni vulcaniche che hanno portato in superficie grandi quantità di materiale in forma di magma. Gli autori di questo nuovo studio, della Hampton University e dell’Università di Hong Kong, sono partiti da ciò che conosciamo di Io, una delle lune di Giove, la più prossima al gigante gassoso, per ipotizzare un meccanismo universale di raffreddamento dei pianeti rocciosi. Io è geologicamente molto attiva, per via della sua elevata temperatura interna dovuta alla forte interazione gravitazionale con Giove e le altre lune, e presenta un meccanismo di raffreddamento tramite heat pipes – o condotti termici – capaci di trasferire il calore dall’interno verso la superficie sotto forma di eruzioni di magma. Questo processo rappresenterebbe uno stadio attraverso cui sono passati anche gli altri corpi rocciosi del Sistema solare, in particolare Mercurio, Venere, Marte e la Luna.

Finora si supponeva che, dopo alcune fasi in comune, l’accrescimento di planetesimi producesse calore che separa i materiali metallici – che finiscono nel nucleo – dai silicati, che vanno invece a comporre il mantello, inizialmente sotto forma di oceani di lava. Da lì in poi, però, le somiglianze finirebbero, e il processo di solidificazione del mantello sarebbe leggermente diverso per ogni pianeta. Questa nuova ipotesi, invece, suggerisce che tutti i corpi rocciosi del Sistema solare hanno attraversato una fase di raffreddamento tramite heat pipes equivalente a quella di Io, che divide la fase degli oceani di magma a quella delle placche tettoniche o di un mantello rigido. Lo studio mostra come questa ipotesi sia perfettamente compatibile con ciò che sappiamo della geologia e geochimica dei pianeti a noi più vicini. Nel caso di Venere, ad esempio, le caratteristiche della sua spessa litosfera sono precisamente quelle che ci si aspetterebbe dopo un processo di raffreddamento tramite heat pipes, che si sarebbe concluso diverse centinaia di milioni di anni fa.

Alexander Webb esamina delle antiche rocce in Groenlandia, probabilmente prodotte dal raffreddamento tramite heat pipes del nostro pianeta. Crediti: http://www.scifac.hku.hk

Uno dei tre autori dello studio, Alexander Webb, dell’Università di Hong Kong, spiega che «i corpi terrestri nel nostro Sistema solare appaiono sufficientemente diversi da giustificare la teoria classica che si siano formati diversamente, per lo meno per quanto riguarda i loro involucri esterni. Quello che la nostra analisi suggerisce è invece un modello universale per lo sviluppo iniziale dei pianeti terrestri, valido in tutto il Sistema solare e oltre».

Se la validità di questo modello fosse confermata per qualsiasi pianeta roccioso, questo potrebbe aiutarci non solo a comprendere la storia dei nostri “vicini” ma anche a stabilire parametri che dovranno necessariamente essere rispettati da simili esopianeti in orbita attorno ad altre stelle. Nel caso di pianeti di massa molto maggiore a quella della Terra – le cosiddette super-Terre – la temperatura interna potrebbe essere sufficientemente alta da rendere il processo di raffreddamento addirittura più lungo della vita della stella attorno a cui orbitano.

Questo nuovo modello, dunque, promette di avere ripercussioni sullo studio del nostro sistema solare come sulle nostre ipotesi riguardo alla composizione degli esopianeti. Un altro coautore dello studio, Justin Simon del Johnson Space Center a Houston (Texas), non nasconde il proprio ottimismo, commentando che «se venisse confermato, il nostro modello verrà discusso fianco a fianco con la teoria delle placche tettoniche, con gli “oceani di magma” planetari, e con la teoria dell’impatto per l’origine della Luna».

Per saperne di più:

  • Leggi su Earth and Planetary Science Letters l’articolo “Heat-pipe planets“, di William B.Moore, Justin I.Simon, e A. Alexander G.Webb.