CHIARITO L’ENIGMA DELLE CORRENTI A GETTO

Simulando Giove in un barile d’acqua

Per la prima volta è stato ricreato in laboratorio il comportamento dei vortici turbolenti che si creano ai poli gioviani. La novità, pubblicata su “Nature Physics” da un team di ricercatori di UCLA e di Marsiglia, è che queste correnti si estenderebbero migliaia di chilometri al di sotto dell’atmosfera visibile

     24/01/2017

Un’elaborazione computerizzata di Giove dove vediamo il polo sud in alto a sinistra e in basso a destra, e i risultati di un nuovo modello sui venti in alto a destra e in basso a sinistra. Crediti: Jonathan Aurnou

Un gruppo di ricercatori guidati dal geofisico Jonathan Aurnou dell’UCLA è riuscito a venire a capo di uno dei misteri più interessanti su Giove. Per anni gli scienziati si sono chiesti se sul quinto pianeta del Sistema solare le correnti a getto esistano solo nella regione superiore dell’atmosfera – un po’ come accade sulla Terra – oppure se questi venti si immergano anche più in profondità nell’interno gassoso di Giove. I ricercatori hanno simulato per la prima volta le correnti a getto di Giove in laboratorio, dimostrando che i venti si estendono molto probabilmente migliaia di chilometri al di sotto dell’atmosfera visibile.

Per ricreare i vortici ventosi di Giove in laboratorio, i ricercatori hanno elaborato un modello di pianeta con tre attributi fondamentali per la formazione dei getti: la rapida rotazione, la turbolenza e un “effetto curvatura” che imita la forma sferica di un pianeta. I precedenti tentativi di creare getti in laboratorio sono spesso andati a vuoto proprio per la mancanza di uno o più di questi tratti. Questa volta, però, i ricercatori guidati da Aurnou hanno utilizzato una particolare strumentazione costituita da una tavola posta su dei cuscinetti d’aria che può ruotare fino a 120 giri al minuto sostenendo un peso fino a 1000 chili. Grazie a questo marchingegno è stato possibile ricreare la rapida rotazione di Giove.

La dinamica dell’esperimento

Il team ha posizionato un grande contenitore con 400 litri di acqua sulla tavola. Lo strumento è stato poi mandato alla massima velocità. Per effetto della veloce rotazione, l’acqua è stata spinta contro i lati del contenitore, formando una parabola che approssima la superficie curva di Giove. Dal test è emerso che 75 giri a minuto sono sufficienti per forzare il liquido ad assumere la forma di una curva ma non troppi da causare la fuoriuscita dell’acqua. Una volta ricostruita la rotazione del pianeta, sono state ricreate, tramite alcuni tubi, le turbolenze: l’energia dell’acqua è stata incanalata dal basso a formare dei getti, e in pochi minuti il flusso dell’acqua è cambiato, dando vita a sei flussi concentrici che si muovono in direzioni alternate.

A sinistra: il polo sud di Giove visto da Cassini. Crediti: NASA/JPL/Space Science Institute).

Così, senza dover andare direttamente su Giove e spendendo sicuramente di meno, degli scienziati sono riusciti a dimostrare fisicamente – per la prima volta – la dinamica effettiva delle correnti a getto gioviane, inferendone che i getti scendono in profondità: rimangono infatti visibili dalla superficie dell’acqua anche se le turbolenze vengono iniettate dal fondo.

Presto i ricercatori potranno verificare il loro modello con i dati provenienti dalla sonda Juno della NASA (alla quale l’INAF partecipa con lo strumento JIRAM per le studio delle aurore e dell’atmosfera), che ha il compito di studiare in maniera approfondita l’atmosfera e il campo magnetico di Giove. La speranza è quella di arrivare a riprodurre anche caratteristiche come la Grande Macchia Rossa.

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