OFFRE L’ATMOSFERA PIÙ SECCA DEL PIANETA

Antartide, paradiso degli astronomi

Pubblicato su Nature Astronomy un articolo sulle caratteristiche del sito Dome A per l’osservazione del cielo a infrarossi. Ma vale la pena avventurarsi fin là? Media INAF lo ha chiesto a Michele Maris, astronomo dell’INAF di Trieste da un mese al Polo Sud per lavorare al telescopio IRAIT

     13/12/2016

Nella foto, il telescopio IRAIT a Dome C, con (da sinistra) Michele Maris, Stefano Sartor e Yuri De Pra. Il progetto IRAIT gestisce dal 2006 un telescopio da 80 cm presso la base franco/italiana di Concordia. Il telescopio è gestito dalla Fondazione Clément Fillietroz onlus, che gestisce anche l’Osservatorio Astronomico della regione autonoma valle d’Aosta, ed è diretto da Jean Marc Christille, che ne è il principal investigator, e da Daniele Tavagnacco dell’INAF – Osservatorio astronomico di Trieste, che ne è il manager tecnico. Crediti: INAF

Si chiama Dome A ed è forse il luogo più ostile della Terra. Di certo il più freddo, almeno stando alle misure disponibili. Situato a 1200 km nell’interno, con i suoi 4093 metri di quota è la cima più alta di tutto il continente antartico. Irraggiungibile in aereo, costringe i ricercatori a un viaggio fra i ghiacci che può richiedere fino a tre settimane. E se vi state chiedendo chi glielo fa fare, la risposta è sull’ultimo numero – nonché primo, essendo una rivista appena nata – di Nature Astronomy: piatto, con pochi venti e soprattutto con l’atmosfera più secca che si conosca, non c’è luogo migliore al mondo per osservare il cielo. Lo certifica una campagna di 19 mesi di misure condotta da un team di ricercatori guidato da Sheng-Cai Shi, del Purple Mountain Observatory cinese.

E un clima secco è indispensabile per osservare da terra a frequenze al confine fra le microonde e gli infrarossi, la riserva di caccia ideale per chi è all’inseguimento dei segnali emessi dalla polvere cosmica e dalle fredde nubi di gas interstellare. Assorbite dal vapor d’acqua, le frequenze del dominio dei terahertz e del lontano infrarosso sono praticamente inaccessibili se non dallo spazio – costosi satelliti e voli su pallone, dunque. O, appunto, da un luogo estremo come Dome A.

Non proprio a Dome A ma quasi – su un’altra cima di nome Dome C, appena qualche centinaio di metri più bassa, 3233 metri – vive ormai da un mese, ospite della Stazione di Concordia, anche un astronomo dell’INAF di Trieste, Michele Maris. È volato laggiù per un intervento di upgrade del telescopio IRAIT, acronimo di International Robotic Antarctic Infrared Telescope: un telescopio robotico da 80 cm dotato di strumenti per osservare il cielo infrarosso.

Nel profilo Facebook, al posto del suo ritratto, Maris ha messo come immagine il logo del PNRA, il Programma Nazionale di Ricerche in Antartide, del quale fanno parte anche i suoi due compagni d’avventura, Stefano Sartor e Yuri Del Pra. Le difficoltà di connessione a internet gli impediscono di caricare tutte le foto che vorrebbe, soprattutto se ad alta risoluzione, e rendono complicati i collegamenti. Media INAF è però riuscita a raggiungerlo, per chiedergli se davvero la possibilità di osservare da siti come Dome A e Dome C valga la fatica di raggiungerli.

«Sì, l’altopiano antartico è un sito eccezionale per fare astronomia. Le basse temperature, attorno ai -80 gradi d’inverno e -30 gradi d’estate, venti con velocità che non superano pochi km/orari, e la bassissima umidità, paragonabile a quella di una regione desertica, rendono l’atmosfera estremamente trasparente e stabile. E fanno di questa località una delle migliori al mondo per l’astronomia infrarossa, ottica o radio», conferma Maris. «Al prezzo però delle durissime condizioni ambientali alle quali gli strumenti e il personale che li opera sono sottoposti, e a una grande complessità logistica, paragonabile per certi versi a quella necessaria per una missione scientifica nello spazio».

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