NUOVO TIPO DI ROCCIA PER IL “CONIGLIO DI GIADA”

Luna made in China

Quarant’anni dopo le missioni lunari USA e URSS, il rover cinese Yutu ha individuato nel Mare Imbrium una roccia basaltica dalla composizione inedita, diversa da quella dei campioni raccolti e analizzati negli anni Settanta nel corso dei programmi Apollo e Luna. I risultati su Nature Communications

     22/12/2015
Il rover lunare cinese, Yutu, fotografato dal suo lander Chang'e-3 dopo l’atterraggio nel Mare Imbrium, un bacino da impatto gigante nel quale si riversarono, successivamente, colate laviche. Crediti: CNAS / CLEP

Il rover lunare cinese, Yutu, fotografato dal suo lander Chang’e-3 dopo l’atterraggio nel Mare Imbrium, un bacino da impatto gigante nel quale si riversarono, successivamente, colate laviche. Crediti: CNAS / CLEP

Il Mare Imbrium è un po’ la Venezia del nostro satellite: qualunque agenzia sia stata in gita sulla Luna ci ha messo piede almeno una volta. I sovietici nel 1970, con il lander Luna 17 e il rover Lunokhod 1 (il primo ad aver mai posato le ruote su suolo extraterrestre). L’anno successivo fu il turno degli americani della missione Apollo 15, che si riportarono a casa 77 kg di terreno lunare lasciando, in cambio, una scultura dedicata all’Astronauta caduto. Poi, per quasi quarant’anni, niente. Fino al 14 dicembre del 2013, quando il modulo cinese Chang’e 3 si posò nella regione settentrionale dell’immenso cratere – 1146 km di diametro, il più grande presente sulla Luna fra quelli da impatto, e uno fra i più grandi in assoluto di tutto il Sistema solare – scodellando un piccolo rover di nome Yutu, traducibile grosso modo come “coniglio di Giada”.

Da allora il Roger Rabbit della Repubblica Popolare Cinese scorrazza sulla superficie lunare raccogliendo campioni di regolite e analizzandone la composizione con i due spettrometri del suo laboratorio di bordo: l’Active Particle-induced X-ray Spectrometer (APXS) e il Visible and Near-infrared Imaging Spectrometer (VNIS ). Ed è proprio scorrendo la lista degli ingredienti – compilata e inviata a Terra da Yutu – d’una porzione di suolo vulcanico del fondo di Zi Wei, un giovane cratere nel cratere dal diametro di circa 450 metri, che gli scienziati del team guidato da Zongcheng Ling (Shandong University, Cina) si sono resi conto d’essersi imbattuti in un tipo di roccia mai incontrato prima. Né dai rover delle precedenti missioni USA e URSS, né tra i frammenti di Luna giunti a noi sotto forma di meteoriti.

I suoi ingredienti sono sostanze dai nomi strani per la maggior partedi noi, ma ben noti a qualunque geologo: minerali come l’augite, la pigeonite, l’olivina e l’ilmenite. La novità sta nelle dosi. Il fondo basaltico di Zi Wei presenta infatti una concentrazione di ferro assai elevata rispetto ai precedenti campioni. E una concentrazione di titanio intermedia, mentre nelle rocce portate a terra dalle missioni sovietiche e americane il titanio era o molto abbondante o molto scarso. Un’anomalia, questa, molto utile per ricostruire la storia geologica del nostro satellite.

«La distribuzione variabile del titanio sulla superficie lunare suggerisce che non vi sia stata un’omogeneizzazione dell’interno della Luna», spiega uno dei coautori dello studio pubblicato oggi su Nature Communications, Bradley Jolliff, della Washington University di St. Louis (USA). «Ancora stiamo cercando di capire come sia potuto accadere. È possibile che si siano verificati grandi impatti durante la fase d’oceano di magma, tali da interrompere la formazione del mantello».

L’impresa del Coniglio di Giada, oltre ad aiutare gli scienziati a scavare nel passato della Luna, è di notevole importanza anche per convalidare “sul campo” misure analoghe eseguite però da remoto, con gli spettrometri a bordo degli orbiter lunari. Misure che già avevano indicato l’inedita composizione del terreno lavico presente nel bacino del Mare Imbrium. Il quadro complessivo che emerge dallo studio delle sue rocce basaltiche, osserva Joliff, è quello di un satellite assai più diversificato rispetto a quello che ci avevano consegnato gli studi condotti dalle missioni Apollo e Luna. E proprio dagli orbiter arrivano indizi dell’esistenza di rocce basaltiche ancora più giovani di quelle relativamente recenti (meno di 3 miliardi di anni) formate dalla lava che riempì il fondo del cratere Zi Wei. Rocce destinate a entrare nel mirino delle future missioni robotiche o umane.

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