LE OSSERVAZIONI DI ALMA

Elevata fertilità stellare nell’Universo distante

Grazie alle potenzialità del telescopio dell'ESO, un gruppo di astronomi, tra cui alcuni dell'INAF, ha esaminato il contenuto di monossido di carbonio in sette galassie starburst distanti, trovando che esse presentano mediamente un maggior tasso di formazione stellare rispetto alle galassie vicine. I risultati di questo studio sono pubblicati su ApJ Letters

     15/10/2015
Baby_Boom_galaxy

La galassia starburst più attiva si chiama “Baby Boom” ed è anche la più distante (12,3 miliardi di anni luce nella costellazione del Sestante). Essa, scoperta dal telescopio spaziale Spitzer, è famosa per essere la galassia starburst più brillante dell’Universo distante, essendo la sua luminosità una misura del tasso estremo di formazione stellare. Si ritiene che la galassia sia il risultato di un merger galattico. Credit: NASA/JPL-Caltech/P. Capak (Spitzer Science Center) Telescopes: Hubble, Spitzer, Chandra, Galex, Keck, CFHT, Subaru, UKIRT, JCMT, VLA e IRAM 30m.

Uno studio condotto da una collaborazione internazionale di astronomi, tra cui alcuni dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), ha trovato che circa 9 miliardi di anni fa le galassie distanti che presentavano un elevato tasso di formazione stellare erano in media più efficienti nel formare stelle rispetto alle galassie dell’Universo locale. I risultati sono riportati su Astrophysical Journal Letters.

Oggi gli scienziati ritengono che la maggior parte delle galassie che stanno formando stelle si trova nella cosiddetta “sequenza principale” (che non ha nulla a che fare con quella che riguarda l’evoluzione stellare) per cui maggiore è la massa della galassia e più elevato risulta il suo tasso di formazione stellare. Però, sia oggi che nel passato alcune galassie presentano un tasso di formazione stellare molto più alto di quanto presente nelle galassie di sequenza principale. Di solito, l’interazione che avviene tra due galassie (merger galattico) è la causa di questa fase di starburst durante la quale il gas freddo che risiede nelle gigantesche nubi molecolari diventa il combustibile che alimenta i processi di formazione stellare.

La domanda che si sono posti i ricercatori è se tali starburst che si osservano durante le epoche primordiali siano stati il risultato di una sorta di rifornimento sovrabbondante di gas o se invece siano state le stesse galassie a convertire il gas in maniera più efficiente. Per tentare di rispondere a questa domanda, gli astronomi, guidati da John Silverman del Kavli Institute for the Physics and Mathematics of the Universe, hanno esaminato il contenuto di monossido di carbonio (CO) in 7 galassie starburst distanti osservate all’epoca in cui l’Universo aveva un’età di circa 4 miliardi di anni. Ciò è stato possibile grazie alle potenzialità osservative dello strumento ALMA (Atacama Large Millimeter Array) che opera in banda millimetrica, fondamentale per lo studio del gas molecolare, con un livello di sensibilità che deve essere ancora del tutto esplorato. «Le nostre osservazioni dimostrano chiaramente le capacità uniche di ALMA nel misurare con facilità una componente critica delle galassie distanti, un risultato di notevole importanza e indicativo di ciò che potrà fare in futuro lo strumento», commenta Silverman.

PACS_867

A sinistra: l’immagine della galassia PACS-867 ottenuta da ALMA dove l’emissione del monossido di carbonio (CO) mostra la riserva del gas molecolare da cui si formano nuove stelle. Al centro: l’immagine di PACS-867 ripresa dalla Advanced Camera for Surveys a bordo del telescopio spaziale Hubble in cui si nota l’emissione UV dalle stelle giovani nelle singole componenti galattiche estremamente perturbate dal merger. A destra: l’immagine infrarossa a 3.6 micron di PACS-867 ottenuta dal telescopio spaziale Spitzer che mette evidenza le stelle immerse nella polvere e associate con il gas molecolare. La radiazione UV associata al gas è debole, a causa della polvere, mentre è più forte nell’infrarosso. Credit (immagine a sinistra): ALMA (ESO/NAOJ/NRAO), J. Silverman (Kavli IPMU); Credit (immagine al centro): NASA/ESA Hubble Space Telescope, ALMA (ESO/NAOJ/NRAO), J. Silverman (Kavli IPMU); Credit (immagine a destra): NASA/Spitzer Space Telescope, ALMA (ESO/NAOJ/NRAO), J. Silverman (Kavli IPMU)

I risultati delle analisi suggeriscono che la quantità di CO era già diminuita anche se la galassia continuava a formare stelle ad un ritmo forsennato. Queste osservazioni sono simili a quelle per le galassie starburst locali, ma la diminuzione della quantità di gas non è stata così rapida come ci si aspettava. «Questi dati, anche se relativi a un numero limitato di galassie, suggeriscono che, a differenza di quanto precedentemente ipotizzato, potrebbero non esserci due modi distinti di formazione stellare» commenta  Giovanni Zamorani, associato INAF e già direttore dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Bologna, che ha partecipato allo studio. «Piuttosto, potrebbe essersi verificato una sorta di incremento continuo in termini di efficienza di formazione stellare, che dipende da quanto più alto risulta il tasso di formazione stellare rispetto alla sequenza principale».

Questo studio ha utilizzato i dati della survey COSMOS. Solo i telescopi spaziali Spitzer ed Herschel sono stati in grado di misurare in maniera accurata i tassi di formazione stellare mentre il telescopio Subaru ha potuto confermare la natura e la distanza di queste galassie estremamente distanti tramite la tecnica della spettroscopia.


Per saperne di più: