DAI PROCESSI GEODINAMICI

Nuove condizioni per l’abitabilità planetaria

Nella ricerca di mondi alieni c'è un altro parametro da considerare per le condizioni di abitabilità: la sua composizione chimica. E' quanto emerge da uno studio apparso su Nature Geoscience secondo cui la formazione della tettonica a placche, del vulcanismo e dell’emissione di anidride carbonica rappresentano le principali variabili che possono condizionare il clima e quindi l'abitabilità di un pianeta

     21/07/2015

Secondo una nuova teoria introdotta dai geofisici Mark Jellinek dell’University of British Columbia e Matthew Jackson dell’Università della California a Santa Barbara la composizione chimica di un pianeta potrebbe giocare un ruolo cruciale nel determinare i suoi fenomeni tettonici e le condizioni climatiche e, quindi, la sua abitabilità. I risultati sono pubblicati su Nature Geoscience.

La zona abitabile dipende dalla dimensione e temperatura della stella. La figura illustra alcuni esempi di sistemi stellari scoperti da Kepler dove viene illustrata la zona abitabile e quella del Sistema solare. Credit: Milagli / Shutterstock

È ben noto che il nostro pianeta è situato nella cosiddetta zona abitabile, una regione dello spazio interplanetario dove la temperatura superficiale del pianeta non è troppo elevata o troppo bassa. Si tratta di una distanza ideale dalla stella madre, nel caso della Terra il Sole, che crea quelle condizioni ottimali che fanno sì che da un lato l’acqua non diventi ghiaccio, evitando ere glaciali su scala globale, e dall’altro non evapori nello spazio generando un effetto serra estremo.

Secondo Jackson, la tettonica a placche è una manifestazione del fatto che la Terra sta cercando di raffreddarsi. Le placche più fredde sprofondano e assorbono calore mentre i vulcani rilasciano il calore là dove le placche si stanno separando e formando. «In realtà, il processo della tettonica a placche può essere pesantemente influenzato se la Terra è troppo calda o troppo fredda», spiega Jackson. «Se è troppo calda la tettonica a placche si blocca, se invece è troppo fredda essa congela».

Fino a qualche decina d’anni fa, per studiare la composizione chimica terrestre gli scienziati si basavano su un modello legato ad antichi meteoriti rocciosi chiamati condriti, considerati i “mattoni fondamentali” del nostro pianeta. Poi, una serie di studi sull’analisi del rapporto di due isotopi del neodimio, 142Nd e 144Nd, hanno dimostrato che la composizione chimica del nostro pianeta può differire da quella delle condriti, una differenza sostanziale che ha aperto tutta una serie di nuove domande a cui gli scienziati hanno cominciato a dare delle risposte.

Nel 2013, Jackson e Jellinek pubblicarono un nuovo modello della composizione della Terra in cui si mostrava come una enorme porzione del mantello fosse stata impoverita per formare la crosta continentale. Il modello assumeva, inoltre, una riduzione di uranio, torio e potassio pari al 30 percento del contenuto chimico presente nella massa del pianeta, il cui decadimento è responsabile di quasi tutto il calore radioattivo della Terra. Nel nuovo articolo, però, si parte da questo modello e si tiene conto dei processi di geodinamica. «Riteniamo che se il pianeta avesse avuto una quantità maggiore di uranio, torio e potassio come nel vecchio modello, la tettonica a placche non sarebbe stata possibile», dice Jackson. «Se questo fosse vero, si finirebbe per avere un pianeta che possiede solo una enorme placca ed un effetto serra estremo, come nel caso di Venere. Invece, con il nuovo modello della composizione chimica della Terra, il pianeta acquisisce quella ‘giusta condizione’ chimico-fisica tale che nelle sue regioni interne non faccia troppo freddo o troppo caldo e perciò la tettonica a placche può operare».

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Dei più di 1000 pianeti individuati dal satellite Kepler, 8 hanno una dimensione meno di due volte la Terra e si trovano nella loro zona abitabile. Credit: NASA

Secondo gli autori, la storia termica e quella della tettonica a placche della Terra sono in qualche modo connesse e questo ultimo lavoro esplora ciò che succede se la produzione di calore viene diminuita di un terzo, così come suggerisce il nuovo modello. Se l’uranio, il torio e il potassio regolano la tettonica a placche, così come propongono gli autori, allora gli astronomi che danno la caccia agli esopianeti abitabili dovrebbero iniziare a tener conto di un altro parametro da prendere in considerazione. Infatti, dato che il satellite della NASA Kepler ha finora individuato più di 1000 pianeti, di cui una piccola frazione risiede nella zona abitabile, sarà importante comprendere come altre variabili, tra cui appunto la composizione chimica del pianeta, potranno far stringere il cerchio verso la ricerca di quei mondi alieni potenzialmente abitabili.

«La nostra ipotesi suggerisce che tra i pianeti rocciosi c’è un altro parametro da tener presente quando si considera l’ipotesi di abitabilità o meno di un pianeta: la sua composizione. Essa influisce sull’abbondanza dell’uranio, del torio e del potassio e regola non solo il suo calore radioattivo interno ma in ultima analisi anche la formazione della tettonica a placche, e perciò la presenza di vulcanismo e l’emissione di CO2. Queste sono le principali variabili che possono condizionare il clima e quindi l’abitabilità di un pianeta”, conclude Jackson.


Nature Geoscience: A. M. Jellinek & M. G. Jackson 2015 – Connections Between the Bulk Composition, Geodynamics and Habitability of Earth