NUOVO STUDIO SULLE GALASSIE ELLITTICHE

Niente stelle? Colpa dei buchi neri

Al contrario di quanto si credeva finora, gli astronomi hanno scoperto che nonostante la completa assenza di formazione stellare alcune galassie ellittiche giganti contengono grandi quantità di gas freddo. La mancata produzione di nuove stelle al loro interno sarebbe allora da imputare all'attività dei getti dei loro buchi neri centrali

     26/02/2014
La galassia ellittica NGC 5044. Crediti: Digitised Sky Survey/NASA Chandra/Southern Observatory for Astrophysical Research/Very Large Array, Robert Dunn et al. 2010

La galassia ellittica NGC 5044. Crediti: Digitised Sky Survey/NASA Chandra/Southern Observatory for Astrophysical Research/Very Large Array, Robert Dunn et al. 2010

Sulla carta le galassie ellittiche giganti sembrerebbero essere tra le meno interessanti dell’intero universo: si è sempre pensato che non accadesse molto da quelle parti, vista l’assenza di bracci a spirale e la mancanza di formazione stellare. Ma come in ogni romanzo giallo che si rispetti, anche nelle grandi e miti prime periferie dell’universo si possono nascondere misteri e piccoli delitti. Ed è un nuovo studio basato sui dati dell’Herschel Space Observatory dell’ESA a sollevare il velo sulle dinamiche ancora poco chiare che prendono vita all’interno di queste galassie.

Dal momento che ospitano solo stelle vecchie e visto che non ne producono di nuove da tempo, gli astronomi sono soliti chiamare le galassie ellittiche giganti “rosse e morte”. Finora si credeva che la mancanza di formazione stellare dipendesse dalla scarsa disponibilità del giusto carburante, ovvero gas freddo, in quelle zone. Senza una buona quantità di materia prima vitale, non si riescono a formare le stelle, sic et simpliciter. Certo l’assenza di gas freddo creava qualche problema interpretativo: non ce n’era perché veniva in qualche modo espulso dalle galassie o perché era stato utilizzato già tutto per la formazione delle prime vecchie stelle?A spazzare via questa visione delle cose ci ha pensato la nuova ricerca, pubblicata sulle Monthly Notices della Royal Astronomical Society. “Abbiamo esaminato otto galassie ellittiche giganti che nessuno aveva studiato prima con Herschel e siamo stati lieti di scoprire che, contrariamente a quanto si credeva in precedenza, sei su otto abbondano di gas freddo”, spiega Norbert Werner, ricercatore della Stanford University in California, che ha condotto lo studio. “Anche se rileviamo gas freddo, non vi è alcun segno di formazione stellare in corso”, dice il co-autore Raymond Oonk di ASTRON, istituto olandese per la radioastronomia. “E questo è bizzarro: con un sacco di gas freddo a disposizione, perché queste galassie non formano stelle?”

Davanti a questi nuovi interrogativi i ricercatori hanno cercato di darsi una risposta. Queste galassie, sostengono, non sono poi il mortorio che credevamo: la responsabilità della mancata formazione di stelle sarebbe infatti da attribuire all’attività dei buchi neri all’interno delle galassie. “Nelle sei galassie ricche di gas freddo, i dati mostrano che il gas caldo si raffredda”, afferma Werner.  Questo in accordo con le aspettative teoriche: una volta raffreddato, il gas a temperature altissime diventa il gas tiepido e freddo che si osserva a lunghezze d’onda più lunghe. Tuttavia, in queste galassie il gas freddo non riuscirebbe a fare il passo successivo, ovvero condensarsi e formare le stelle, proprio a causa dei jet dei buchi neri. In alcuni modelli teorici, infatti, il livello di attività di un buco nero potrebbe spiegare perché il gas in una galassia è in grado o meno di formare le stelle. I buchi neri farebbero insomma la parte di enormi bulli cosmici, impedendo la nascita di nuove stelle, e le rilevazioni di Werner e colleghi sembrerebbero calzare a pennello questi modelli teorici. “Queste galassie sono di colore rosso, ma con i buchi neri giganti che pompano nei loro cuori di sicuro non sono morte”, commenta Werner.

“Ancora una volta , Herschel ha rilevato qualcosa che non è mai stato visto prima”, commenta vittorioso Göran Pilbratt, uno dei responsabili dell’Herschel Project dell’ESA. Un’osservazione di questo tipo è in effetti una prima assoluta, ed è proprio grazie alla sensibilità degli strumenti di Herschel che i ricercatori sono riusciti a riconoscere le emissioni nel lontano infrarosso di ioni di carbonio e atomi di ossigeno, tracce inequivocabili della presenza di gas freddo.