È sempre lui, l’infaticabile, il telescopio spaziale Hubble. Generoso più che mai: neanche 24 ore dopo averci mostrato la quarta luna di Plutone, eccolo giungere con un nuovo regalo. Anzi, quattro. Si tratta di immagini di Andromeda, la galassia a spirale più vicina alla nostra Via Lattea, nota anche come M31. I più ingrati potrebbero puntualizzare che questa volta si tratta d’un regalo “riciclato”, visto che le immagini provengono dai cassetti dell’archivio delle annate che vanno dal 2004 al 2007. Ma non è così: la loro bellezza sta nel poterle contemplare insieme, con un solo colpo d’occhio, in questo accostamento inedito, una accanto all’altra. Così come il loro interesse scientifico sta soprattutto nell’evidenziare le differenze fra l’una e l’altra.
Ma partiamo dal tratto comune: si vedono le stelle. E che sarà mai, ci mancherebbe che il re dei telescopi spaziali non riuscisse a mostrarci quel che possiamo cogliere benissimo anche a occhio nudo… Invece no: vedere le stelle una a una – “risolverle”, come dicono gli astronomi – può essere banale per quelle che popolano la nostra galassia, ma è pressoché impossibile per tutte le altre. Dalle osservazioni della maggior parte delle galassie, infatti, anche se compiute con i telescopi più potenti, è difficilissimo far emergere le singole stelle che le costituiscono. Troppo fitte, troppo distanti. Così, per lo più, rimangono confuse a milioni sotto forma di vaghe nubi biancastre.
Perché, allora, in queste immagini le stelle sono così nettamente distinguibili? Anzitutto, perché HST è un telescopio senza rivali, collocato com’è al di sopra dei disturbi atmosferici e dotato di una strumentazione – come la Advanced Camera for Surveys usata in quest’occasione – di qualità invidiabile. Secondo motivo, la distanza: Andromeda è vicinissima a noi, al punto che, inquinamento luminoso permettendo, la si può intravedere persino a occhio nudo. Terzo e ultimo motivo, quelle inquadrate in questi quattro scatti sono zone relativamente periferiche di Andromeda, assai meno densamente abitate del suo caotico centro.
In particolare, due delle immagini [1 e 2] – quelle a più bassa densità di stelle – ritraggono una porzione dell’alone galattico, ovvero l’enorme e rarefatta sfera di stelle che circonda una galassia. Qui a dominare è il vuoto, al punto che si riescono a distinguere nettamente altre galassie, assai più lontane, sullo sfondo. In realtà c’è un’altra componente, seppur invisibile, che la fa da padrona: la materia oscura, la cui presenza negli aloni, e in grande quantità, è suggerita dagli studi sulla velocità di rotazione delle galassie stesse.
Nelle altre due immagini, invece, le stelle sono assai più numerose. La prima [3] ritrae una porzione del disco di Andromeda, zona che comprende i caratteristici bracci di spirale e le poche, fioche, stelle presenti nello spazio che li separa. Il disco, dopo il nucleo centrale, è la seconda zona più densa d’una galassia. La seconda immagine [4], invece, raffigura un dettaglio della cosiddetta “corrente stellare gigante” (giant stellar stream), una struttura dalla forma allungata che si ritiene formata dai resti di una galassia compagna, lacerata dalla forza di gravità di Andromeda e da quest’ultima inglobata.
Combinate insieme, queste osservazioni offrono un volto del tutto inedito di quello che può essere una galassia a spirale: non più un unico oggetto denso e opaco, bensì un agglomerato con tantissimo spazio libero — “arioso”, verrebbe da dire, se non fosse che d’aria, in quelle immense distese di vuoto fra una stella e l’altra, non ce n’è nemmeno una boccata.