
Dai calcoli effettuati da Dorian Abbot e Eric Switzer, questi “lupi nella steppa” galattica potrebbero sostenere un oceano d’acqua, anche per miliardi di anni, sotto la spessa coltre di ghiaccio, grazie al calore residuo dell’attività geotermica interna, calcolata sulla base del decadimento degli elementi radioattivi nel nucleo roccioso. A parità di acqua presente sulla Terra, un pianeta simile risulterebbe abitabile se avesse dimensioni pari a 3,5 volte la massa della Terra. Se invece contenesse una quantità d’acqua 10 volte superiore rispetto ai nostri laghi, fiumi, mari e oceani , allora potrebbe essere grande anche solo un terzo della Terra. Oltre a poter supportare forme viventi, una simile “mina vagante” potrebbe spargere i semi della vita in giro per la galassia. Un’ipotesi indubbiamente affascinante, anche se del tutto priva la momento di prove sperimentali.
Se tuttavia esistessero posti simili, con le caratteristiche suggerite dai due autori, potrebbe risultare più semplice e “accessibile” la ricerca di vita aliena, rispetto a un sistema planetario che disterebbe almeno svariati anni luce. Attualmente, i telescopi più potenti nell’infrarosso sarebbero in grado di osservare un pianeta solitario entro 100 miliardi di miglia dalla Terra, una distanza relativamente piccola in termini astronomici. Ma se anche ne incontrassimo uno, sarebbe complicato rilevare la presenza di vita, in quanto questa sarebbe sepolta sotto una spessa coperta di ghiaccio. Probabilmente, insomma, quella descritta è destinata a restare un’ipotesi.






