Un gruppo di astronomi ha acceso una luce finta nel cielo ionizzando atomi di sodio a 90 chilometri da terra. La tecnica permette di calibrare in modo ottimale le ottiche adattive del Very Large Telescope senza la distorsione dell'atmosfera.
A volte non bastano tutte le stelle del firmamento per compiere determinate osservazioni celesti. Servirebbe una luce proprio lì, in quel preciso punto di cielo dove è tutto buio. Che si fa, allora? Semplice: si crea una stella artificiale. È quello che hanno fatto gli astronomi dell’Osservatorio dell’ESO di Cerro Paranal, in Cile. Come si vede in questa immagine, scattata dal fotografo dell’ESO Yuri Beletsky in una limipidissima notte di agosto, un potente raggio laser è stato sparato verso l’alto e una luce nuova è iniziata a brillare in mezzo alla Via Lattea. La “stella artificiale” è prodotta dagli atomi di sodio presenti nell’alta atmosfera che, elettrizzati dal raggio laser, iniziano a emettere luce gialla. Questo strato di sodio si trova a circa 90 chilometri di altezza e si pensa si sia formato nell’impatto dei meteroiticon l’atmosfera terrestre.
Accendere una “lampadina” artificiale nel cielo è un’operazione strategica per gli astronomi che lavorano al Very Large Telescope. Consente infatti di di avere un punto di riferimento luminoso non soggetto alla distorsione dell’atmosfera come le immagini delle altre stelle. Si riescono così a calibrare le ottiche adattive del telescopio in modo più preciso, ottenendo immagini ancora più nitide. Per esempio, i ricercatori riescono a monitorare meglio il nucleo galattico dove un buco nero supermassivo, circondato da stelle orbitanti a distanza ravvicinata, sta ingurgitando gas e polvere.
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