INTERVISTA IN ESCLUSIVA A MARC LEVY

Un astrofisico da bestseller

Che ci fa, un astrofisico, nell’ultimo romanzo dello scrittore francese più venduto al mondo? Per capirlo, siamo andati a fare una chiacchierata direttamente con Marc Levy, autore del bestseller «Il primo giorno», da poco uscito in Italia.

     19/03/2010

Marc Levy

Si chiama Adrian, è un astrofisico e lavora in Cile. Trascorre le sue notti fra gli osservatori di La Silla e Paranal. Ma quando un terremoto mette fuori uso gli strumenti Naco e Sinfoni («tutti i nostri telescopi hanno un nome»), forzandolo a sospendere le sue attività, gli affidano l’incarico di supervisionare l’installazione di un’antenna gigante sull’altopiano di Atacama, a 5000 metri sul livello del mare. Dove lo incontriamo in preda al mal di montagna. E all’ansia di procurarsi i finanziamenti necessari a continuare le sue ricerche.

No, questa volta non è di un ricercatore dell’Inaf in missione ai telescopi dell’Eso che vi stiamo parlando. Certo il dubbio, almeno fino a questo punto, sarebbe perfettamente lecito. Ma Adrian, insieme all’archeologa Keyra, è il protagonista di un romanzo: Il primo giorno, l’ultimo libro tradotto in italiano di Marc Levy. Levy ha oggi quarantotto anni. Nel 2009, con un milione e 735mila copie vendute, si è guadagnato il primo posto nella classifica dei romanzieri francesi più letti.

Mettiamolo subito in chiaro: Il primo giorno non è un’opera di divulgazione scientifica. È un romanzo a tutti gli effetti, dove misteri e coincidenze abbondano. Una storia d’amore e d’avventura di quelle che ti lasciano col fiato sospeso. Così come lascia senza respiro la carriera del suo creatore. A 18 anni ha iniziato a lavorare per la Croce Rossa. A 23 ha fondato uno studio di computer grafica con sedi a Parigi e negli Stati Uniti. A 29 ha creato quello che è ora uno fra i più importanti studi d’architettura di Francia. Ha diretto un film per Amnesty International. E a 37 si è messo a scrivere. Gli è andata bene: i suoi primi nove libri sono stati tradotti in 41 lingue, e hanno venduto 20 milioni di copie nel mondo. Ma è per farci raccontare qualcosa di più sul suo “topo da osservatorio” che lo abbiamo incontrato.

Buongiorno Marc. Ci sono parecchi riferimenti scientifici, nel tuo ultimo romanzo uscito in Italia, Il primo giorno. Quanto ha contribuito, la presenza della scienza, al suo enorme successo?

Come disse una volta un filosofo, uccidi la fiction, e avrai ucciso la scienza. Ritengo che scienza e fiction siano profondamente collegate. D’altronde, basta pensare a quanti narratori si sono ispirati alle scienze. E a quanti scienziati, a loro volta, hanno trasformato in realtà i sogni di un narratore. Sarei curioso di sapere quante, fra le persone che lavoravano alla Nasa il giorno in cui il primo uomo mise piede sulla Luna, avevano letto Jules Verne da adolescenti.

Cosa ti ha portato a scegliere, come protagonisti della tua storia, due personaggi come Keyra e Adrian, un’archeologa e un astrofisico?

Li ho scelti, per Il primo giorno, perché trovo l’astrofisica e l’archeologia semplicemente affascinanti. Mi piacerebbe moltissimo essere un astrofisico o un archeologo. E sentivo anche che dare vita a un personaggio intento a investigare le origini dell’Universo, a fianco di un altro che sta invece cercando le origini dell’umanità, poteva essere un inizio affascinante, per un romanzo. Lasciava spazio a tantissime possibilità, su quel che avrebbero potuto scoprire insieme…

Come astrofisico, Adrian è un personaggio decisamente realistico: passa le sue notti ad osservare il cielo nel deserto di Atacama, è di casa al Jodrell Bank Observatory, fatica a trovare finanziamenti per i suoi progetti di ricerca… Hai qualche legame privilegiato, con il mondo della ricerca astrofisica?

Be’, ovviamente non sono un astrofisico, niente di più lontano da me. Ho sempre amato il cielo e le stelle. Ma, con mia grande frustrazione, la scuola mi ha fatto scoprire di essere un disastro in fisica e in matematica. In questo romanzo, il mio primo obiettivo era far sì che, qualunque cosa Adrian dicesse, potesse suonare credibile anche a un astrofisico in carne e ossa. Perché, pur essendo un’opera di finzione, volevo scrivere cose che potessero essere vere.

E come hai fatto, a chi ti sei rivolto, per rendere Adrian uno scienziato credibile?

Mi sono letto migliaia e migliaia di pagine, libri, manuali tecnici… Ho guardato interviste ad astrofisici, ne ho pure conosciuto qualcuno. Poi, per fortuna, ho anche un amico che è astrofisico. Il quale, molto gentilmente, mi ha corretto qualche errore. E, alla fine, mi ha dato il via libera.

Il primo giorno si apre con una domanda: «Dove comincia l’alba?», chiede un timidissimo Adrian, ancora bambino, al suo professore di scienze. Anche nell’astrofisica contemporanea, dalla natura della materia oscura e dell’energia oscura all’esistenza di vita extraterrestre, le domande aperte non mancano. C’è qualche argomento che ti affascina in modo particolare?

Da ragazzo, ciò che mi affascinava di più erano senz’altro i buchi neri! Ora, gli argomenti che preferisco sono quelli che riguardano la curvatura dell’Universo, il tempo e la sua espansione. Non sto nella pelle, in attesa di vedere i risultati dei satelliti Herschel e Planck. Sto quasi contando le settimane che mancano.

Il tuo ultimo romanzo, La prima notte, è la continuazione de Il primo giorno. Ma uscirà in italiano solo a giugno, sempre per i tipi della Rizzoli. Non è che puoi dare alle nostre lettrici e ai nostri lettori qualche anticipazione…

No, non se ne parla proprio!

D’accordo, ma… Adrian, almeno, lo ritroveremo, no?

E va bene, ma giusto qualche indizio. Sì, certo, Adrian ci sarà. E anche la mia domanda  su «cosa potrebbero scoprire insieme» troverà una risposta. Posso anche anticiparvi che nel secondo volume ci si sposterà parecchio, ci sarà un lungo viaggio attraverso l’Europa, la Russia e… be’, è una sorpresa.


Per saperne di più:

Il booktrailer di presentazione de Il primo giorno:
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