CON UN COMMENTO DI STEVEN TINGAY

Nessuna traccia di alieni ma niente panico

Utilizzando il Murchison Widefield Array – precursore dello Square Kilometre Array – due astronomi australiani hanno osservato una regione di cielo nella quale sono presenti almeno 10 milioni di stelle, completando quella che a oggi risulta essere la ricerca più vasta e profonda che sia mai stata fatta per trovare tracce di vita extraterrestre. Tutti i dettagli su Pasa

     08/09/2020

Antenne a dipolo del radiotelescopio Murchison Widefield Array (Mwa) nell’Australia centrale occidentale. Crediti: Dragonfly Media.

Lo spazio è vasto. Veramente vasto. Non riuscireste mai a credere quanto enormemente incredibilmente spaventosamente vasto esso sia. Voglio dire, magari voi pensate che andare fino alla vostra farmacia sia un bel tratto di strada, ma quel tratto di strada è una bazzecola in confronto allo spazio”, scrive Douglas Adams nella Guida galattica per autostoppisti.

Quindi, niente panico se due astronomi – Chenoa Tremblay e Steven Tingay, della Curtin University, nodo dell’International Center for Radio Astronomy Research (Icrar) – utilizzando il Murchison Widefield Array (Mwa) per osservare con un dettaglio senza precedenti una regione di cielo nella quale sono presenti almeno 10 milioni di stelle, non hanno trovato alcuna traccia di tecnologie aliene. Di fatto, hanno analizzato un piccolo tratto di strada, come per andare in farmacia!

Lo studio, pubblicato su Publications of the Astronomical Society of Australia, si è concentrato su una regione di cielo intorno alla costellazione delle Vele (Vela, in latino) e purtroppo, almeno in questa parte dell’universo, sembra proprio che altre civiltà, se esistono, non abbiano alcuna intenzione di farsi trovare.

«Mwa è un telescopio unico, con un campo di vista straordinariamente ampio che ci consente di osservare milioni di stelle simultaneamente», spiega Tremblay. «Abbiamo osservato il cielo intorno alla costellazione delle Vele per 17 ore, in quella che si è rivelata essere una regione 100 volte più vasta e profonda rispetto a quelle osservate in precedenza. In questo set di dati non abbiamo trovato alcuna tecnofirma, nessun segno di vita intelligente».

Steven Tingay spiega di non essere rimasto scioccato dal risultato perché «Come ha scritto Douglas Adams: lo spazio è vasto, veramente vasto».

Antenne a dipolo del radiotelescopio Murchison Widefield Array (Mwa) nell’Australia centrale occidentale. Crediti: Dragonfly Media

«Questo articolo», prosegue Tingay nel suo commento rilasciato per l’occasione a Media Inaf «è un buon esempio di come sia possibile estrarre la massima quantità di informazioni da un radiotelescopio. Chenoa ha utilizzato Mwa per esaminare un campo di vista molto vasto, alla ricerca dell’emissione radio generata da molecole presenti nello spazio, come per esempio il monossido di azoto. Questa emissione radio si vedrebbe come un aumento della potenza del segnale in stretti intervalli di frequenza. Ci siamo resi conto che, oltre a questi segnali molecolari, potevamo anche cercare segnali Eti (n.d.r., acronimo di extraterrestrial intelligence), poiché si presume che qualsiasi tecnofirma generata da civiltà avanzate (come la nostra) sarebbe caratterizzata da intervalli di frequenza ristretti. Abbiamo eseguito questa ricerca Eti su un campo visivo molto ampio, scoprendo che – per via del campo visivo osservato, della larghezza di banda in cui abbiamo cercato, del tempo di osservazione e degli altri parametri delle nostre osservazioni – siamo stati in grado di cercare in uno spazio dei parametri 100 volte più grande di quanto non sia mai stato fatto prima. Questo spazio dei parametri è diventato famoso come il pagliaio (proprio come quello del detto “cercare un ago in un pagliaio”). Quindi, possiamo dire di aver cercato una grande “frazione del pagliaio”, più grande rispetto a qualunque altro esperimento condotto in precedenza. Tuttavia, il pagliaio è molto grande. Anche tenendo conto del nostro miglioramento, potremmo cercare solo una parte su dieci milioni di miliardi dello spazio dei parametri, l’equivalente di una piscina da giardino rispetto agli oceani terrestri. Pertanto, c’è ancora molta strada da fare nella ricerca di Eti».

«Infine, grazie al nuovo database stellare del satellite Gaia, abbiamo potuto confrontare la nostra ricerca con i dati Gaia, arrivando alla conclusione che abbiamo cercato segnali da dieci milioni di stelle appartenenti alla nostra galassia. Certo, le stelle più lontane non hanno limiti molto rigidi. Ma il nostro lavoro con Mwa è una dimostrazione delle osservazioni che possono essere fatte con lo Square Kilometre Array (Ska) utilizzando le 130mila antenne progettate dai nostri colleghi Inaf – che sarà molto più sensibile e costituirà un grande progresso per il progetto Seti».

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