MA TRA I FISICI C’È CHI DICE NO

Lhc ha un erede designato: un anello da 100 km

Per ora è solo sulla carta. Se però il progetto del Future Circular Collider andrà in porto, sarà il più grande acceleratore di sempre: in grado di raggiungere i 100 TeV. In che modo? A cosa servirà? E perché c’è chi, dalle pagine del New York Times, critica l’opera? Lo abbiamo chiesto ad Antonio Zoccoli, fisico delle particelle e membro della giunta esecutiva dell’Infn

     12/02/2019

Rappresentazione schematica del luogo in cui dovrebbe essere scavato il tunnel del Future Circular Collider (cliccare per ingrandire). Crediti: Cern

Un tunnel da 100 km di circonferenza. Scavato a 300 metri sotto terra. Per ospitare un acceleratore in grado di produrre collisioni fino a 100 TeV di energia. Si riassume in queste tre cifre il pesante biglietto da visita di Fcc, il Future Circular Collider. In altre parole, l’erede di Lhc. Talmente grande e potente che il Large Hadron Collider – la macchina meravigliosa che ci ha permesso di “vedere” il bosone di Higgs – diventerebbe il suo “motorino di avviamento”.

«D’altronde il Cern, negli anni, è proprio così che si è ingrandito: costruendo via via acceleratori sempre più potenti e usando gli acceleratori precedenti, a cascata, come stadi della catena di pre-accelerazione», ricorda a Media Inaf Antonio Zoccoli, fisico delle particelle e membro della giunta esecutiva dell’Infn, al quale ci siamo rivolti per scoprire qualcosa di più sulle caratteristiche, gli obiettivi, le possibili ricadute tecnologiche e le difficoltà che dovrà superare il progetto di Fcc per diventare realtà. Difficoltà fra le quali anche il “fuoco amico” di chi si oppone al progetto dall’interno della comunità dei ricercatori: è il caso della fisica Sabine Hossenfelder, che prima attraverso il suo blog poi con un articolo sul New York Times ha espresso giudizi molto critici verso il progetto del Future Circular Collider, ritenendolo un investimento ingiustificato dal punto di vista scientifico. Obiezioni rintuzzate a loro volta – sempre pubblicamente, sempre sul New York Times – da chi invece ritiene che sia giusto andare avanti

Professor Zoccoli, partiamo dall’hardware: che tipo di acceleratore dovrebbe diventare, il Future Circular Collider? Dimensioni a parte, sarà anch’esso un “hadron collider – un collisionatore per adroni, e in particolare protoni – come Lhc?

«No, l’idea sarebbe di costruire il tunnel e sfruttarlo inizialmente per costruire un collisionatore leptonico, quindi elettrone-positrone. E solo successivamente usare lo stesso tunnel per installare un collisionatore andronico. Sono tutte cose solo sulla carta, per il momento. Però il progetto prevedeva questo, una sorta di avvicendamento».

La circonferenza è enorme: quanti stati attraverserebbe?

«Rimarrebbe sempre a cavallo della Francia e della Svizzera».

Non finirà anche sotto all’Italia, quindi?

«No, è ancora troppo lontano».

Veniamo ai costi. Già abbiamo detto della memorabile tripletta con cui si presenta: 100 km di lunghezza, 300 metri di profondità, 100 TeV di energia. Non è che dovremo aggiungerci anche un assegno da cento miliardi di euro?

«No, no, in realtà non dovrebbe costare molto più Lhc. Molto dipende da quanto costa scavare il tunnel, e questo può essere poco o molto a seconda della geologia del posto in cui si scava, ma siamo nell’ordine di qualche miliardo di euro. Comunque, alla fine il costo globale dovrebbe essere sotto i 20 miliardi di euro. Tenete conto che Lhc – anch’esso costruito sfruttando un tunnel pre-esistente, quello del Lep, un collisionatore leptonico – è costato, tunnel escluso dunque, attorno ai 6 o 7 miliardi di euro. Ecco, Fcc sarebbe in quell’ordine di grandezza, magari un po’ più di 10 miliardi, forse il doppio».

Per i tempi, quando prevedete che sarà pronto?

«Diciamo entro il 2035-2040, una data ragionevole per realizzare il collisionatore leptonico».

E per la trasformazione da collisionatore leptonico ad adronico?

«Per quella c’è un problema: la tecnologia attuale non ci permette di costruire magneti con un campo magnetico sufficientemente intenso per curvare i protoni e farli lavorare al 100 TeV dentro a questa circonferenza. Si tratta di costruire dei magneti da 16 tesla, che attualmente non ci sono. Dunque bisogna sviluppare tutta la tecnologia necessaria per costruirli. Ci sono due strade: una è quella di continuare a usare la tecnologia dei cavi superconduttori che sono stati sviluppati fino ad oggi, l’altra – un po’ più ambiziosa, ma secondo me forse più utile anche alla società – è quella di usare dei superconduttori ad alta temperatura».

Perché questa seconda strada sarebbe più utile alla società?

«Perché tutte le applicazioni che usano magneti per scopi industriali potrebbero poi avvalersi di questa nuova tecnologia. Adesso siamo costretti a lavorare a pochi gradi kelvin, dunque a usare l’elio. Con l’alta temperatura i superconduttori lavorerebbero a decine – se non centinaia – di gradi kelvin, a seconda del materiale che si usa. Dunque sarebbe tutto molto meno costoso, molto più semplice da raffreddare e con un impatto sulla società di grande rilievo».

Certo che 100 km… Di questi tempi scavare tunnel non è facile. Non avrete contro i No Tav, però già si è fatto avanti qualche “No TeV”: penso per esempio all’articolo apparso lo scorso gennaio sul New York Times firmato da Sabine Hossenfelder, “Il futuro incerto della fisica delle particelle”. Voi addetti ai lavori come la state vivendo, questa critica dall’interno?

«Il punto è sempre lo stesso: nella società moderna si tende sempre a estremizzare tutto, e su un’impresa scientifico-tecnologico come questa si tende – purtroppo, e un po’ troppo, secondo me – a esulare dalla discussione scientifica. Poi si va sui giornali e si dice “no, questo non va bene”, e allora tutti siamo contro… Come la Tav: “chi è favorevole alla Tav, o chi è contrario alla Tav, alzi la mano”… La scienza non procede in questo modo».

Come procede?

La scienza procede con un dibattito. E come in tutti i dibattiti c’è chi dice “secondo noi è importante costruire un nuovo acceleratore, lungo 100 km, perché è l’unico modo per far fare un passo da gigante alla conoscenza”. Soprattutto, ricordo, è un’impresa europea. Perché l’alternativa, la possibilità, è che poi la stessa cosa la facciano i cinesi».

I cinesi?

«Sì, già hanno allo studio la costruzione di un acceleratore uguale a questo – o comunque molto simile. Se lo faranno in Cina, la scienza in questo campo si sposterà in Cina. E i leader diventeranno i cinesi. È quello che l’Europa vuole? Vuole perdere un primato che ha in un campo perché, magari, si fanno considerazioni di questo genere? È una discussione politica e scientifica molto seria, che dovrebbe essere limitata all’ambito politico e scientifico. Poi se c’è qualcuno, come questa ricercatrice, che ha un’opinione diversa, ben venga: ogni opinione diversa è utile per prendere la decisione giusta. Ciò che lascia un po’ perplessi è il fatto che uno senta la necessità di scriverlo sul New York Times, piuttosto che negli ambiti che sono preposti a questo tipo di discussione».

Fra voi fisici delle particelle, che lei sappia, è una posizione isolata, quella di Hossenfelder, o c’è qualcuno che condivide il suo scetticismo?

«Sicuramente ci sono delle persone scettiche. Ma ci sono diversi gradi di scetticismo. C’è lo scetticismo totale, come quello di questa ricercatrice. Poi ci sono persone che hanno più dubbi, e si chiedono se ne vale la pena, non ne vale la pena, qual è l’alternativa… Ci sono quelli che sono convinti e quelli che sono meno convinti, anche perché vale sempre la pena di fare un rapporto costi-benefici, per questo tipo di impresa. E sicuramente ci sono altre comunità che fanno altri tipi di fisica e magari si chiedono: “se facciamo partire questa grande impresa, poi i fondi per noi ci sono?”. Se io studio astroparticelle, per esempio, perché devo costruire questo acceleratore e invece non potenzio le mie ricerche? In questo campo ci sono voci discordanti anche perché ci sono interessi discordanti. Ecco allora che comunità diverse magari preferirebbero che una parte di questi fondi venissero allocati per le loro ricerche, e non per questa: è normale che ci siano voci discordanti».

Rimanendo sulle motivazioni scientifiche, per Lhc c’era una domanda chiara: esiste o no il bosone di Higgs? Una fra le critiche avanzate da Hossenfelder è che per Fcc, invece, manca una domanda altrettanto chiara. È così?

«Supponiamo che Lhc non avesse trovato il bosone di Higgs. Avremmo costruito un’altra macchina per vedere se il bosone di Higgs aveva un’energia un po’ più grande?»

Mi dica lei…

«Probabilmente sì. A posteriori è facile discutere tutto, il problema è quando uno prende la decisione a priori: se avessi fatto Lhc e non avessi trovato il bosone di Higgs – perché, invece di avere 125 GeV, avesse avuto 1.5 TeV – cosa sarebbe accaduto? Avrei costruito la macchina da 10 Tev, o da 50 TeV, o da 100 TeV, per trovarlo? O invece no, e si chiudeva tutto?  Chi lo sa. Quello che conta è che la conoscenza avanzi. E che ci siano delle domande importanti, anche se magari non c’è la domanda assoluta – come “esiste o non esiste il bosone di Higgs?” – che, diciamo, è preminente rispetto alle altre».

Quali domande importanti, dunque, per il Future Circular Collider?

«Domande che vanno dalla ricerca della materia supersimmetrica a quella della materia oscura, modelli che vanno al di là del modello standard, ad esempio, la violazione di CP e l’asimmetria materia antimateria… Ci sono tante domande fondamentali a cui bisogna dare una risposta. Quindi: queste domande fondamentali su un piatto, lo sviluppo tecnologico sull’altro, il problema di leadership scientifica su un terzo piatto. Abbiamo questi tre piatti. E dall’altra parte l’investimento che bisogna fare in questo campo. L’Europa deve guardarsi in faccia e decidere se  sono motivazioni che valgono un investimento di questo genere».


Guarda il teaser del Cern sul Future Circular Collider:

Per saperne di più: