MARCO BUTTU, TREDICI MESI IN ANTARTIDE

Quarant’anni a White Mars, la Marte bianca

Il primo dei tredici mesi alla Stazione Concordia è passato, per i tredici winter-over della 33esima spedizione italiana in Antartide. Tra loro c’è Marco Buttu dell'Inaf di Cagliari, e Media Inaf continua a raccontare la sua avventura fatta di esercitazioni e di isolamento fra i ghiacci

     22/12/2017

Il C130 è un aereo pressurizzato per i 2500 metri, che vola tra gli 8000 e i 9000 metri. I passeggeri viaggiano insieme al carico in un unico scomparto. Crediti: Marco Buttu / Pnra

Il viaggio è iniziato la mattina del 18 novembre: dalla sua casa a Gavoi, in provincia di Nuoro, nel centro Sardegna, Marco Buttu parte per l’aeroporto di Cagliari, dove saluta la sua famiglia e i colleghi dell’Osservatorio di Cagliari. Marco sale sul primo aereo per un viaggio che durerà diversi giorni, fino al Polo Sud.

A Roma avviene il primo incontro, tra pensieri e nostalgia, con una parte del gruppo italiano della 33esima spedizione. Alcuni di loro erano diretti alla Stazione Mario Zucchelli, la base scientifica italiana che si trova sulla costa dell’Antartide, mentre altri avrebbero viaggiato con Marco fino alla Stazione Concordia. Cominciano i voli in giro per il pianeta: prima Dubai, poi il tempo di una sosta a Sydney, in Australia, e infine Christchurch, in Nuova Zelanda.

Dopo un breve training nella sede Italiana dell’Antartic Center di Christhcurch, il gruppo può concedersi un po’ di meritato riposo, pronto a volare l’indomani verso l’Antartide. In questa tratta i piani di volo sono imprevedibili, perché le condizioni meteo cambiano rapidamente. E infatti il volo viene anticipato di alcune, ore costringendo il gruppo a prepararsi in fretta e furia per lasciare la Nuova Zelanda con già indosso il materiale antartico: pranzo al sacco in mano, il gruppo sale a bordo dell’aereo C130 che li porterà sul continente antartico.

In volo verso il continente di ghiaccio

«Ci aspettano 8 ore di volo, e ci avvisano che ci sembreranno 10. Sono emozionatissimo», prende nota Marco, «e guardo ogni angolo dell’aereo per capire cosa ci sia e come funzioni. Durante il volo possiamo andare a nostro piacimento in cabina di pilotaggio».

Il Basler è un aereo non pressurizzato che vola a circa 3500 metri di quota, per poi salire ancora di più quando si raggiunge l’altopiano antartico. Per effetto dello schiacciamento della Terra ai poli, in Antartide a 3500 metri la quantità di ossigeno nell’aria è pari a quella che si avrebbe sopra i 4000 alle nostre latitudini. E infatti la carenza di ossigeno si è fatta sentire!». Crediti: Marco Buttu / Pnra

Il contatto con il Polo Sud avviene il 21 novembre 2017, e l’impatto emotivo è fortissimo. «Dopo circa 6 ore e 30 di volo iniziamo a vedere la neve. Una neve che sembra non finire mai, e ci accompagna sino al nostro arrivo alla Stazione Mario Zucchelli. Quando son sceso dall’aereo ho quasi pianto dall’emozione. Avevo i piedi in Antartide, o meglio, quasi in Antartide, visto che sotto di me c’era il mare».

La partenza per Concordia era prevista il giorno dopo, 22 novembre, alle 10 del mattino. «Con i fuoristrada siamo arrivati sin sotto un Basler [vedi immagine a fianco], parcheggiato nella banchisa».

Concordia, il luogo più isolato del pianeta

«L’arrivo a Concordia è stato veramente emozionante. Nonostante fossi consapevole di andare nel posto più isolato del pianeta, sono rimasto impressionato e affascinato nello scorgere la base in lontananza dall’aereo, in mezzo al nulla. Quattro ore di volo sopra l’Antartide, 1200 km percorsi, senza vedere alcunché se non il bianco, sinché non abbiamo intravisto un piccolo puntino che pian piano ha preso forma e colore: la Stazione Concordia».

La Stazione Concordia è una base italo-francese gestita dall’Enea e dall’Ipev (Institut Polaire Paul-Emile Victor). Il programma scientifico è del Cnr. Crediti: Marco Buttu / Pnra

«Siamo atterrati ad un centinaio di metri dalla base, e ad attenderci c’erano i precedenti winter-over (coloro che hanno trascorso il precedente inverno a Concordia) più il personale tecnico estivo. Prima di scendere dall’aereo non sapevo quale fosse la temperatura e non avevo idea di come sarebbe stato il primo impatto con il freddo dell’altopiano Antartico. Ero talmente emozionato e felice di vedere che tutti ci aspettavano, che non mi sono nemmeno accorto del freddo, nonostante il termometro segnasse -45 °C».

«La carenza di ossigeno e l’aria secca», racconta Marco, «si sono fatte sentire subito. La pelle e le labbra dopo pochissimo tempo hanno iniziato a seccarsi, e si sentiva la carenza di umidità in modo molto netto anche nelle vie respiratorie. La difficoltà maggiore è stata l’altitudine percepita: quasi 4000 metri. I primi due giorni ci hanno tenuti completamente a riposo, e mi sono concentrato sulla respirazione controllata, di cui potevo monitorare gli effetti tramite la strumentazione fornitami dal medico dell’Esa presente alla base».

White Mars, più vicino all’Universo che alla Terra

«Il terzo giorno stavo già bene, nonostante non avessi preso alcun medicinale, e finalmente sono uscito dalla base per fare una passeggiata di circa 2 chilometri. Mi sono sentito più vicino al resto dell’Universo che alla Terra: ovunque mi giravo vedevo solamente un’immensa, piatta, distesa bianca che mi separava dall’orizzonte, la Luna e il Sole. E la temperatura sui 40 gradi sotto zero. Nessuna forma di vita attorno a me, se non i restanti esseri umani che popolano Concordia Station. Non a caso questo posto viene chiamato White Mars, ovvero Marte bianca».

La neve è diversa dal solito: quando la calpesti fa un rumore simile a quello del polistirolo pressato, ed è talmente secca che non riesci a compattarla per fare una palla. Quando nevica non cadono fiocchi, ma una polvere di ghiaccio sottilissima e rada, quasi invisibile. Riesci a vederla solamente quando guardi nella direzione del Sole, poiché in quel caso, anche se a stento, la vedi brillare. Se guardi in altre direzioni non ti accorgi che sta nevicando. [dal diario di Marco Buttu]

Crediti: Marco Buttu / Pnra

In queste giornate “estive” la quotidianità del gruppo è già ben scandita: la sveglia presto, la colazione, poi ognuno alle sue attività lavorative, il pranzo tutti insieme, un po’ di svago – alla base c’è anche un calcio balilla! – e dopo un po’ di riposo si torna al lavoro. Si possono praticare sport e altre attività, la sera c’è tempo per scrivere. La domenica le telefonate via Skype alla famiglia e la linea internet da condividere in tanti… Per un altro mese ancora il sole non tramonterà. Non potendo quindi fare osservazioni, e considerato che ci sarà relativamente caldo, verranno eseguiti i lavori di manutenzione, specialmente esterni.

Compleanno al Polo Sud, poi in volo con la Soyuz

«In questo momento siamo 65: una parte dorme nel cosiddetto “campo estivo”, mentre i restanti all’interno della base alloggiati in camere doppie. Noi 13 winter-over, da febbraio in poi, quando saremo soli, avremo la camera singola.  A partire da quel momento, le mie giornate e il mio stato d’animo cambieranno: le temperature scenderanno fino ad arrivare a -80 gradi, spesso -100 percepiti dal corpo, e saremo fisicamente isolati per 9 mesi».

Marco ha compiuto 40 anni lì, al Polo Sud, l’11 dicembre. Ci racconta di aver trascorso un bellissimo compleanno, quasi interamente speso in cucina per preparare, insieme allo chef estivo Franco Lubelli, una cena sarda per tutti.

«Anche la giornata successiva al mio compleanno è stata memorabile, perché con l’Agenzia spaziale europea abbiamo iniziato un training molto particolare: dovremo guidare un simulatore di Soyuz, per avvicinarci e attraccare la Stazione spaziale internazionale. Le condizioni non saranno facili: la simulazione avverrà in carenza di ossigeno e durante un periodo di forte stress dovuto ai rischi derivanti dall’isolamento a Concordia. Concluso il training», continua Marco, «simuleremo il volo per due ore al mese. L’Esa vuol capire se queste particolari condizioni possano condizionare la nostra memoria e capacità di guida manuale del veicolo, dopo un mese di inutilizzo. Questo perché in una futura missione su Marte, dopo 6-8 mesi di volo automatico, l’equipaggio in caso di avaria della navicella dovrebbe effettuare le manovre di discesa in modo manuale: il famoso piano B».

La mappa con tutte le stazioni di ricerca permanenti in Antartide. La Stazione Concordia è indicata dalla freccia blu. Crediti: Wikimedia Commons

Dopo quei 6-8 mesi saranno ancora in grado di pilotare il veicolo e fare la discesa su Marte come simulato prima della partenza? Lo scopo dell’esperimento è proprio cercare di dare una risposta a questa domanda. Le condizioni alla Stazione Concordia sono infatti simili a quelle che troverebbero gli astronauti. Ecco perché l’altopiano antartico è il posto più adatto nella Terra per questo tipo di esperimenti. «L’altopiano artico, a differenza della zona costiera del Polo Sud, è tutta un’altra musica: sulla costa non c’è carenza di ossigeno, c’è vita, il paesaggio non è monotono e le temperature sono meno rigide. L’altopiano antartico è invece più simile ad un altro pianeta che alla Terra».

I membri del gruppo winter-over resteranno in carenza di ossigeno, isolati e irraggiungibili da chiunque per nove mesi. Ancor più che sulla Iss: dalla Stazione spaziale è infatti possibile tornare sulla Terra, in caso di problemi, mentre da Concordia, per tutti i nove mesi invernali, non è prevista la possibilità di rientro.

A presto, Marco, noi non smetteremo di seguirti!

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