A UN MILIARDO E MEZZO DI ANNI LUCE DA NOI

Lo splendido caos di Abell 2255

Un gruppo internazionale di astronomi, tra cui ricercatori dell’Inaf e dell’Università di Bologna, ha osservato e studiato uno degli oggetti celesti più intricati del cielo nelle onde radio, l’ammasso di galassie Abell 2255. Le straordinarie immagini ottenute con il radiotelescopio europeo Lofar svelano particolari mai visti dell’emissione dell’ammasso e aprono nuovi interrogativi e prospettive per il futuro della ricerca

     25/06/2020

Andrea Botteon. Crediti: Osservatorio di Leida

Un gruppo internazionale di astronomi, tra cui ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) e dell’Università di Bologna, ha osservato e studiato uno degli oggetti celesti più intricati del cielo nelle onde radio, l’ammasso di galassie Abell 2255. Le straordinarie immagini ottenute con il radiotelescopio europeo Lofar svelano particolari mai visti dell’emissione dell’ammasso e aprono nuovi interrogativi e prospettive per il futuro della ricerca. A guidare il team è stato Andrea Botteon, un giovane italiano che dopo il dottorato a Bologna è ora in forza all’Osservatorio di Leida, nei Paesi Bassi.

Il radiotelescopio Lofar (Low Frequency Array), grazie alle sue osservazioni, sta cambiando l’idea che gli astronomi avevano sugli ammassi di galassie. Nonostante il loro nome, gli ammassi di galassie non sono solo agglomerati di centinaia di galassie che si estendono su distanze sterminate di decine di milioni di anni luce, ma contengono anche gigantesche bolle di elettroni che viaggiano a velocità prossime a quelle della luce e che in presenza di campi magnetici producono emissioni in banda radio. Queste emissioni, che si estendono al centro degli ammassi per milioni di anni luce e che vengono prodotte quando due ammassi di galassie si scontrano, sono state chiamate aloni radio per il loro aspetto generalmente sferico e uniforme. Esattamente il contrario di quanto rilevato dalle nuove immagini provenienti da Lofar per l’alone radio di Abell 2255.

Gli astrofisici, coordinati da Botteon, hanno fotografato questo ammasso, distante circa un miliardo e mezzo di anni luce, ottenendo delle immagini con un dettaglio mai raggiunto prima. L’importanza di queste osservazioni sta nel fatto che mostrano una grande complessità dell’emissione dell’alone che ha sorpreso moltissimo i ricercatori e che pone nuovi interrogativi sull’origine di queste sorgenti.

«L’alone di Abell 2255 è tutt’altro che omogeneo» spiega Andrea Botteon, primo autore dell’articolo che descrive lo studio, in pubblicazione sulla rivista The Astrophysical Journal. «Abbiamo scoperto l’esistenza di numerosi filamenti all’interno dell’emissione dell’alone che non erano stati visti in precedenza, sia perché Lofar ha una sensibilità e risoluzione angolare molto più elevata dei radiotelescopi che hanno scrutato gli ammassi di galassie nel passato, sia perché i filamenti che abbiamo scoperto emettono la maggior parte della loro radiazione nelle onde radio di grande lunghezza d’onda, proprio quelle alle quali sono sensibili le antenne di Lofar» prosegue Botteon.

Per gli astrofisici, gli aloni radio sono ancora un enigma: l’ipotesi più accreditata sulla loro origine è che essi si formino a causa di moti turbolenti innescati all’interno degli ammassi durante le collisioni fra gli ammassi stessi. Proprio in questo ambito le nuove osservazioni potrebbero fornire indicazioni preziose. «I filamenti scoperti da Lofar potrebbero formarsi proprio a opera di questi moti, un po’ come quelle strutture filamentose che scorgiamo all’interno delle nuvole nelle giornate con molto vento» commenta Gianfranco Brunetti dell’Inaf di Bologna, che coordina le ricerche sugli ammassi all’interno della collaborazione internazionale Lofar. «Un’altra possibilità che stiamo vagliando è che i filamenti abbiano origine dall’interazione fra le galassie – che si muovono a velocità di molte centinaia di chilometri al secondo all’interno dell’ammasso – e il plasma che produce l’emissione radio dell’alone, un po’ come gli aerei che producono vortici turbolenti attraversando le nuvole» aggiunge Brunetti.

Ma c’è molto di più nelle immagini Lofar di Abell 2255. Gli astrofisici hanno visto che i segnali radio provengono da regioni anche molto distanti dal centro. «Queste emissioni, generate dallo stesso processo fisico attivo al centro dell’ammasso, tracciano probabilmente onde d’urto che si propagano verso l’esterno a grandi distanze e che sono in grado di accelerare particelle di alta energia e amplificare i campi magnetici anche attraverso la turbolenza che generano nella loro scia» commenta Fabio Gastaldello dell’Inaf di Milano, anche lui nel team che ha studiato Abell 2255. «A queste distanze dal centro dell’ammasso l’emissione proveniente dal gas caldo intergalattico è estremamente debole, ai limiti delle capacità degli strumenti attuali che osservano nei raggi X e del satellite Planck. Lo studio dell’emissione radio può quindi fornirci la possibilità di rivelare i moti della materia in regioni inesplorate degli ammassi e le varie fasi della storia evolutiva di un ammasso come lo osserviamo oggi» aggiunge Gastaldello. Proprio per studiare fino a dove si estende l’emissione radio, in questi mesi Lofar ha eseguito una seconda osservazione di Abell 2255 ancora più profonda, con la promessa di nuove sorprese.

Per saperne di più:

  • Leggi il preprint dell’articolo The beautiful mess in Abell 2255  di A. Botteon, G. Brunetti, R. J. van Weeren, T. W. Shimwell, R. F. Pizzo, R. Cassano, M. Iacobelli, F. Gastaldello, L. Bîrzan, A. Bonafede, M. Brüggen, V. Cuciti, D. Dallacasa, F. de Gasperin, G. Di Gennaro, A. Drabent, M. J. Hardcastle, M. Hoeft, S. Mandal, H. J. A. Röttgering, A. Simionescu in pubblicazione sulla rivista The Astrophysical Journal