MARCO BUTTU, TREDICI MESI IN ANTARTIDE

Racconti di una notte di mezza estate

Dopo quasi cento giorni di buio, dai primi giorni di agosto il Sole si è nuovamente affacciato sull'orizzonte dell’altopiano antartico. Alla Stazione Concordia la lunghissima notte dell’inverno polare ha ormai lasciato posto a un pallido giorno e l’avventura non è ancora finita. Media Inaf continua a seguire da vicino la 33esima spedizione italo-francese attraverso i racconti di Marco Buttu dell’Inaf di Cagliari

     04/10/2018

Marco Buttu e Cyprien Verseux vicino al telescopio Irait (International Robotic Antarctic Infrared Telescope). Temperatura al momento della fotografia: -67°C, -91°C windchill
Crediti: Marco Buttu, Pnra

Dopo più di tre mesi di buio, dai primi giorni di agosto il sole è salito sopra l’orizzonte, anche se solo parzialmente, colorando di rosso il cielo e la distesa bianca della neve e regalando ai 13 winter-over un’atmosfera mozzafiato e dal sapore vagamente marziano. Ma il riapparire di una fioca luce solare non ha significato immediatamente una risalita delle temperature.

«Nonostante il ritorno del sole, le prime settimane di agosto abbiamo attraversando il periodo più freddo dell’anno. Per circa una settimana la temperatura ha oscillato attorno ai -75°C, con windchill di -95°C, e abbiamo tenuto sempre sotto controllo il meteo con la speranza di arrivare a -80°C e -100°C windchill, un record!”», racconta l’ingegnere dell’Inaf di Cagliari Marco Buttu, reduce da un periodo di isolamento estremo insieme ai suoi dodici compagni di avventura ma non senza un filo di malinconia. «Si è concluso un periodo indimenticabile», continua, «forse il più particolare della mia vita: 97 giorni senza sole, isolati, irraggiungibili e lontani da ogni altra forma di vita, in un clima desertico ed in carenza di ossigeno, con la temperatura che è scesa fino a -78°C, percepita come -98°C a causa del vento. Diversamente da quanto mi aspettavo, con l’arrivo della luce ho avuto un pizzico di nostalgia, probabilmente dovuta alla consapevolezza che forse non rivivrò mai più una simile esperienza. Ieri con questi pensieri e sensazioni siamo usciti per ammirare il cielo, che ci è parso ancor più bello del solito».

Ma come trascorrono le giornate degli winter-over a Concordia Station, uno dei posti più isolati del mondo, nell’impossibilità di compiere le azioni che sono così consuete nelle condizioni standard della nostra vita quotidiana? «Dopo pranzo e dopo cena giochiamo a ping pong e biliardino, e ultimamente la sera guardiamo una serie televisiva, Game of Thrones», dice Marco. «Durante l’anno scolastico abbiamo fatto molte videoconferenze con le scuole, e questo ci ha tenuti impegnati parecchi pomeriggi. Sono stati bei momenti, che hanno interrotto la routine e permesso di vedere facce nuove. Nonostante le domande siano quasi sempre le stesse, vedere il viso stupito dei ragazzi e dei bambini è veramente appagante.

Una video-conferenza molto speciale è stata organizzata lo scorso 20 agosto con gli astronauti della Iss, la Stazione spaziale internazionale. Per Marco parlare con Alexander Gerst – attualmente al comando della Iss – è stato incredibilmente emozionante: «È stata una curiosa chiacchierata tra gli esseri umani più isolati del pianeta». Ricordiamo che la 33esima spedizione italiana in Antartide sta aderendo a un progetto dell’Esa, l’Agenzia spaziale europea, e sono previste simulazioni periodiche di attracco alla Iss: circa un’ora al mese è dedicata alla guida della Soyuz, la navicella spaziale che rifornisce la Stazione Spaziale. «Eccetto noi ed i russi della base di Vostok, nessun altro essere umano è esposto per un anno intero a una così marcata carenza di ossigeno, per cui è interessante capire come questo influisca sulla memoria e sull’abilità di guida nel lungo periodo», sottolinea Marco.

Schizzo di acqua bollente immediatamente congelato in aria. Curiosità: il suono dell’acqua quando viene lanciata è simile a quello di una pentola rovente sulla quale viene gettata dell’acqua fredda. Temperatura al momento della fotografia: -75°C, -95°C windchill. Crediti: Marco Buttu, Pnra

A partire dal 21 settembre le ore di luce sono diventate la maggior parte, e la notte tornerà ad accorciarsi finché non ci saranno più né albe né tramonti. Il sole infatti, a partire dai primi di novembre, resterà per tre mesi di fila sopra l’orizzonte. «Le temperature sono ancora molto basse ma il sole lentamente ha sciolto il ghiaccio interno alla finestra della mia camera, così adesso posso vedere al di fuori», osserva Marco. «In questo periodo i pensieri iniziano ad essere rivolti al rientro e si fanno vive sensazioni contrastanti: da un lato la gioia di rivedere a breve amici e famiglia, dall’altro la nostalgia di questo posto e la consapevolezza che sta per terminare un’esperienza fantastica».

Ad accompagnare le giornate di Marco Buttu e a rendere probabilmente più sereno l’isolamento così estremo c’è un segreto: la pratica costante dello yoga, che fin dall’inizio della spedizione ha dato un contributo molto positivo alla stabilità psico-fisica dell’ingegnere cagliaritano. «Quasi tutti i miei compagni durante il lungo viaggio per arrivare fin qui presero un’aspirina in modo da facilitare la circolazione del sangue, visto che avremmo trascorso qualche decina di ore seduti. Io invece», ricorda, «ogni due ore circa mi alzavo per camminare, per poi andare in coda all’aereo a fare qualche postura di yoga per allungare la colonna vertebrale e distendere i muscoli del collo, e soprattutto per mettermi a testa in giù per circa dieci minuti, in modo da facilitare la circolazione del sangue venoso dalle gambe al cuore».

All’arrivo sull’altopiano antartico, una delle maggiori difficoltà dal punto di vista fisico è stata l’altitudine percepita: quasi 4000 metri. «I primi due giorni ci hanno tenuti completamente a riposo, e mi son dedicato alla pratica di particolari tecniche di respirazione controllata tipiche dello yoga. Il terzo giorno stavo già bene, nonostante non avessi preso alcun medicinale, e finalmente sono uscito dalla base per fare una passeggiata di circa due chilometri».

Marco Buttu durante la pratica dello yoga. Crediti: Marco Buttu, Pnra

«Nei primi mesi della missione la base era popolata da una sessantina di persone», continua Marco, «per cui per avere qualche spazio in solitudine, per esempio per poter praticare yoga, mi alzavo alle 5 del mattino, e lavoravo dalle 8 alle 18. Adesso, come il resto dei ricercatori, non ho orari prestabiliti. Imposto quindi la mia giornata in base alla fascia oraria in cui ho dormito: se mi sveglio il mattino presto scrivo per l’intera mattinata, poi nel primo pomeriggio inizio a lavorare e continuo fino alle undici di notte circa, con una pausa prima di cena per praticare yoga. La sera lancio le osservazioni e nel frattempo lavoro fino a mezzanotte».

La pratica dello yoga è stata condivisa da Marco con il resto del gruppo, con cui ha tenuto due lezioni settimanali creando un bel momento di incontro. «Questo appuntamento ci ha aiutato a stringere legami forti», ci conferma lui stesso.

Intanto da qualche giorno alla base sono iniziati i lavori di preparazione alla campagna estiva, in attesa del primo aereo in arrivo tra circa un mese con a bordo rifornimenti (frutta e verdura freschi!) e dodici persone, che decreterà la fine del lungo periodo di isolamento.

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