LO STUDIO SU MNRAS

E se le Nubi di Magellano fossero state un trio?

Una nuova ipotesi, nata dall'osservazione del movimento delle stelle nella Grande Nube di Magellano, fa pensare che in origine la famosa coppia di galassie - visibili a occhio nudo nell'emisfero australe - fosse un terzetto, ma due di loro si sarebbero successivamente fuse tra tre e cinque miliardi di anni fa

     24/09/2018

La grande nube di Magellano fotografata con un piccolo teleobiettivo e una fotocamera Dslr modificata per evidenziare le nubi molecolari. Crediti: Andrew Lockwood

Uno degli spettacoli celesti del cielo notturno australe, osservato per migliaia di anni da antiche culture, potrebbe essere il residuo di qualcosa di più variegato. Le Nubi di Magellano, così chiamate poiché furono descritte per la prima volta nei resoconti della spedizione intorno al mondo guidata dall’esploratore portoghese, potrebbero aver avuto una compagna.

Le Nubi sono due galassie satelliti della nostra; la Piccola Nube di Magellano è la più distante, a circa 200mila anni luce da noi, mentre la Grande Nube di Magellano si trova a circa 160mila anni luce ed è questa in particolare il soggetto di un nuovo studio che ipotizza l’esistenza in passato di una terza galassia.

Secondo Benjamin Armstrong, master student all’International center for radioastronomy research (Icrar) e primo autore dello studio, un’altra luminosa galassia è stata probabilmente inghiottita dalla Grande nube di Magellano tra 3 e 5 miliardi di anni fa. Questo potrebbe spiegare come mai la maggior parte delle stelle nella Grande nube ruoti in senso orario intorno al centro della galassia, mentre alcune stelle ruotano in senso antiorario.

La Grande e la Piccola Nube di Magellano. Crediti: Andrew Lockwood

«Per un po’ si è pensato che queste stelle potessero provenire dalla sua galassia compagna, la Piccola nube di Magellano», racconta Armstrong. «La nostra idea di partenza era invece che queste stelle potessero provenire dalla fusione in passato con un’altra galassia». Armstrong ha utilizzato la modellizzazione a computer per simulare le fusioni galattiche, osservando che «in questo tipo di evento di fusione è possibile ottenere una controrotazione abbastanza forte dopo che si è verificata la fusione. Questo è coerente con ciò che vediamo quando osserviamo le galassie».

Secondo il ricercatore, questa scoperta potrebbe anche spiegare due problemi che la Grande nube di Magellano presenta agli astronomi: il divario di età tra le diverse stelle nella nube, o molto vecchie o molto giovani, e l’elevato spessore del disco.

Un’immagine a luminanza inversa delle nubi di Magellano; in pratica due ore di esposizione utilizzando un tracciato Dslr e una lente da 50mm che mostra “gusci” mareali intorno alla Grande Nube di Magellano, un ponte di stelle che collega le due galassie e i “riccioli” galattici in primo piano. Crediti: Andrew Lockwood

Guardando agli ammassi stellari, infatti, Armstrong spiega: «Gli ammassi stellari contengono moltissime stelle che sono tutte di età abbastanza simili e formate in ambienti analoghi. Nella Via Lattea, gli ammassi stellari sono tutti molto antichi. Mentre nella Grande nube di Magellano abbiamo ammassi molto vecchi e altri molto giovani, ma niente in mezzo. Poiché nella Grande nube di Magellano vediamo ricominciare la formazione stellare, questo potrebbe essere indicativo di una fusione galattica in atto. Il nostro lavoro è ancora molto preliminare, ma suggerisce che questo tipo di processo avrebbe potuto essere responsabile per il disco più spesso in passato».

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