SCIENCEGROUND, DAL 5 AL 9 SETTEMBRE

Mantova, c’è la scienza al Festivaletteratura

All’interno del programma della manifestazione che apre i battenti domani, mercoledì 5 settembre, ci sarà uno spazio quotidiano dedicato alla scienza: “Scienceground”. Uno spazio con una formula molto innovativa. Ne parliamo con Matteo Polettini, consulente scientifico del festival

     04/09/2018

Gli appuntamenti di Scienceground, dal 5 al 9 settembre 2018, si terranno nei locali della chiesa sconsacrata di Santa Maria della Vittoria, a Mantova. Crediti: Festivaletteratura

Non solo romanzi, ma questa non è una novità: il Festivaletteratura di Mantova, giunto quest’anno alla 22esima edizione, da tempo ci ha abituati a un’accezione ampia e curiosa della letteratura, che accanto a narratori e poeti di fama internazionale vede prendere la parola saggisti, artisti e scienziati. Anche scienziati, sì. Quest’anno, però, lo spazio dedicato alla scienza avrà una veste più originale del solito: una “piccola comunità scientifica temporanea” composta da studenti universitari, dottorandi e ricercatori occuperà i locali della piccola chiesa sconsacrata di Santa Maria della Vittoria per animare Scienceground.

Gli ospiti sono nomi noti a livello internazionale, dal sociologo britannico Harry Collins a Giuseppe De Nicolao, cofondatore del blog Roars. Per restare solo nell’ambito della fisica, ci saranno Carlo Rovelli, che come Collins parteciperà in videocollegamento, Peter Woit, noto per il suo scetticismo nei confronti della teoria delle stringhe, Sabine Hossenfeller, autrice di Lost in Math (se non lo conoscete, correte a leggere la bellissima recensione-intervista di Massimo Sandal sul Tascabile) e Tommaso Dorigo, blogger e ricercatore all’Infn.

Già da questo breve elenco di invitati trapela un approccio critico, una volontà di presentare la scienza contemporanea a tutto tondo, con le sue difficoltà e la sua complessità. Impressione rafforzata dal palinsesto di Scienceground, che sembra congegnato per rendere quanto più possibile attiva la partecipazione del pubblico. Perché questa scelta? E come si sta a parlar di scienza incastonati lì, fra tutti quei letterati? Media Inaf lo ha chiesto a Matteo Polettini, volontario al festival fin da ragazzino (è figlio di uno tra i fondatori dell’iniziativa), oggi ricercatore in fisica teorica presso l’Università del Lussemburgo e consulente scientifico di Festivaletteratura.

Il programma degli incontri

Polettini, non è che l’hanno presa come un’invasione di campo, gli organizzatori, la presenza di tutta questa scienza? E voi, come vi sentite? Il tocco esotico? Gli scardinatori? O che altro? 

«A dire il vero, gli organizzatori sono i primi complici! La scienza a Festivaletteratura c’è sempre stata, come ci sono state l’architettura, l’arte, la filosofia, anche a seconda degli interessi e approfondimenti personali proprio di chi organizza. Ciò che sta cambiando però è la fisionomia del festival in generale e dei progetti scientifici in particolare: negli anni il nostro pubblico è cresciuto con noi, è sempre più preparato e colto. Abbiamo osservato più curiosità verso ciò che sta “dietro le quinte” di un sapere, verso i meccanismi della conoscenza, insomma verso domande complesse – domande cui tentano di dare risposta sia la letteratura che la saggistica, per la quale tra l’altro c’è un sempre maggiore interesse. Un problema è che non siamo mai riusciti a coinvolgere scrittori e giornalisti, a fargli mettere il naso in questi spazi esotici – come dicevate – per esempio dedicati alla scienza. Forse allora è proprio questo quello che dobbiamo scardinare, per mettere in circolo i saperi e farli dialogare attraverso i libri».

Un canale underground, scrivete, una piccola comunità scientifica temporanea e un programma un po’ fuori dai canoni – fatto di attività quotidiane, di gruppi di lettura. Perché queste scelte? 

«Negli anni ho notato che il pubblico è stanco delle narrazioni metaforiche, delle grandi idee astratte con cui la scienza viene reclamizzata. Questo tipo di divulgazione tende a sfornare sempre più pezzi di infotainment, notizie scientifiche per il consumo quotidiano, come le notizie sportive, e non un vero ragionamento. E poi invece il pubblico ci chiede: “sì, ma in pratica, che cosa fate voi scienziati?”. Quindi il formato degli eventi scientifici negli anni è cambiato. Dalle più classiche conversazioni generaliste siamo passati alle lavagne in piazza – brevi lezioni su contenuti specifici della scienza, anche tecnici, con formule e grafici; poi abbiamo sperimentato i laboratori per ragazzi, i giochi. Fino ad arrivare al progetto di quest’anno, in cui offriamo un’esperienza del tutto disintermediata: a fare conversazione – e non più divulgazione – con il pubblico sono direttamente giovani che stanno studiando e si stanno appassionando alla disciplina, magari con i loro dubbi e le loro preoccupazioni metodologiche. Ecco perché è underground. Il pubblico diventa partecipe delle attività di autoformazione di questi ricercatori e studenti, perché, come diceva Richard Feynman, non si può veramente imparare qualcosa fino a che non la si è scoperta personalmente. Insomma, non siamo scardinatori, ma piuttosto sperimentatori di nuovi formati».