IL “DIETRO LE QUINTE” DI UN’OSSERVAZIONE EPOCALE

Alla scoperta delle onde gravitazionali

In prima fila tra gli scienziati protagonisti, Fulvio Ricci ripercorre in questo volume la caccia al primo segnale, intrecciando il racconto storico e ricco di aneddoti con approfondimenti concettuali sulle onde gravitazionali e i relativi sistemi di rivelazione

     19/06/2018

Fulvio Ricci, “Alla scoperta delle onde gravitazionali. Cento anni dopo la previsione di Einstein”, edizioni Dedalo, 128 pp., 17 euroScritto dal fisico dell’Infn

Scritto da Fulvio Ricci, professore ordinario di Fisica generale alla Sapienza, Alla scoperta delle onde gravitazionali. Cento anni dopo la previsione di Einstein è il  racconto, per lo più sconosciuto al grande pubblico, delle fasi che hanno determinato il successo di una ricerca durata quasi un secolo: da quando le onde gravitazionali furono teorizzate da Albert Einstein, passando per i diversi tentativi, esperimenti e prototipi di sistemi complessi per giungere alla realizzazione dei due grandi interferometri Ligo e Virgo.

Una lettura che si articola in dieci capitoli, un “dietro le quinte” che racconta gli aneddoti e restituisce visibilità anche a chi ha lavorato all’ombra dei riflettori. Quel mondo di ricercatori che con passione e coraggio insegue i misteri dell’universo, della sua nascita e di cosa ci riserva il futuro.

Dai sistemi di cattura delle onde gravitazionali a basse temperature che utilizzano la barra di Weber, a cui l’autore dedica un capitolo, il lettore viene accompagnato nella cronistoria dei precursori di Ligo e Virgo, passando per le prime realizzazioni di sistemi a barre criogeniche posizionate in tre diversi continenti: Australia, Europa e America. Anche l’Italia partecipa. Protagonisti per l’Italia sono il centro di Frascati dell’Infn e la Sapienza, con Edoardo Amaldi che realizza Explorer, installato al Cern di Ginevra.

Il traguardo, per le barre di Weber, arriva quando anche i giapponesi abbandonano questa tecnica a favore degli interferometri. L’idea di usare la luce per misurare come cambia l’accelerazione relativa di due corpi in caduta libera prende piede. L’interferometro di Michelson, dal nome del suo inventore Albert Michelson, è un sistema ottico in cui si suddivide un fascio luminoso in due parti utilizzando uno specchio semiriflettente posto a 45 gradi rispetto alla direzione di incidenza della luce. Molte le insidie da superare, compresa la ricerca di un sistema attenuatore degli specchi.

Siamo verso la fine degli anni ’70 quando, durante il convegno organizzato dall’Accademia dei Lincei a Pavia sulla “gravitazione sperimentale”, i sistemi fino ad allora adottati, inesorabilmente, manifestano i loro limiti. Sarà in altre sedi e con nuovi attori che maturano le idee. Ronald Drever è uno scozzese piccolo, rotondetto e rubizzo che parla alla velocità di un fulmine e che viene chiamato a dirigere il gruppo gravitazionale del California Institute of Technology (Caltech). Propone di usare cavità ottiche costituite da specchi semitrasparenti. Le cavità devono essere lunghe alcuni chilometri e questo implica che la posizione degli specchi deve essere controllata e mantenuta in asse con un’accuratezza impressionante: entro i 10-12 m (un milionesimo di un milionesimo di un metro).

Possiamo affermare, lasciando al lettore il gusto di proseguire nelle fasi di ricostruzione storica delle diverse approssimazioni e sperimentazioni dei sistemi di cattura delle onde gravitazionali, che la svolta inizia nei primi anni ’80 negli Stati Uniti, quando Kip Thorne e Rainer Weiss – a cui si è aggiunto in seguito Barry Barish – pensano di realizzare Ligo, un osservatorio per lo studio delle onde gravitazionali. Solo nel 2002 la National Science Foundation americana approverà il finanziamento per la costruzione di Ligo, composto da due interferometri posizionati uno a Livingstone, in Louisiana e l’altro a Hanford, nello stato di Washington. La guida scientifica sarà a cura del California Institute of Technology (Caltech) e del Massachusetts Institute of Technology (Mit). Thorne, Weiss e Barish riceveranno, proprio per aver ideato Ligo, il premio Nobel per la Fisica nell’ottobre del 2017.

Anche in Europa matura l’idea di costruire un apparato interferometrico con un sistema opticomeccanico. La nascita di Virgo è dovuta a un incontro in un convegno del 1985 tra Alain Brillet, un grande esperto di ottica francese e Adalberto Giazotto, fisico italiano appassionato di onde gravitazionali. Giazotto mirava a rivelare segnali a bassa frequenza, e per questo aveva iniziato a studiare come realizzare dei superattenuatori sismici. «Il connubio tra chi cerca nuove soluzioni meccaniche per sospendere gli specchi e un esperto di ottica non può essere più felice», scrive Ricci.

L’impresa franco italiana verrà portata a compimento dai due ricercatori tra il 1995 e il 2003, e il grande interferometro a specchi sospesi Virgo sarà costruito in Italia, a Cascina (Pisa), grazie a un accordo tra l’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) e il Centre national de la recherche scientifique (Cnrs) francese. Con l’accordo italo-francese si approva anche la costruzione di un laboratorio per lo studio e la produzione di specchi in Francia. Ancora oggi è da lì che provengono gli specchi installati nei rivelatori di Virgo, Ligo e anche nell’interferometro giapponese Kagra, attualmente in costruzione.

Ma è solo nel 2007 che le due realtà europea e statunitense a caccia di onde gravitazionali puntano a una rete integrata di dati degli interferometri. La firma dell’accordo tra Ligo e Virgo diventa realtà nel 2010. Nel frattempo, sistemi così complessi e delicati necessitano di fasi di avanzamento, e nel 2010 sarà Ligo ad avviare la fase di avanzamento per aumentare la sensibilità. Viene programma anche per Virgo la stessa fase, ma a partire dal 2012.

Alle basse frequenze, sotto ai 50 Hz, Virgo è più sensibile dei due impianti di Ligo, nel 2011 adotta la soluzione proposta da Giazotto di sospendere gli specchi con quattro sottilissimi fili di vetro ciascuno, per ridurre le dissipazioni acustiche della sospensione e abbattere il rumore termico. In questa configurazione, scrive Ricci, «l’interferometro supera la curva di sensibilità che era stata promessa agli enti finanziatori».

Nel frattempo, nel 2015 si è avuta la prima rilevazione diretta del segnale di un’onda gravitazionale. Manca ancora la controparte elettromagnetica, anche se proprio l’anno prima nel 2014 Ligo, Virgo e la comunità astronomica avevano firmato un memorandum in cui gli astronomi accettavano di puntare i loro telescopi verso le zone indicate dai fisici degli interferometri.

Fulvio Ricci, professore ordinario di Fisica generale alla Sapienza, è stato il responsabile italiano dell’esperimento Virgo per l’Istituto nazionale di fisica nucleare dal 2008 al 2014 e poi portavoce della struttura pisana

Intanto la fase advanced di Virgo attraversa una serie di imprevisti proprio sui sistemi che avevano funzionato egregiamente. Nuovi specchi di 42 kg vengono montati con le sospensioni di vetro e messi sotto vuoto, ma i fili si rompono uno dopo l’altro e gli specchi si adagiano sulle culle di sicurezza. Con grande pazienza si ripercorrono le fasi per scoprire che le rotture sono dovute a particelle di polvere. Siamo nel 2017, la corsa contro il tempo è al cronometro e Ligo avrebbe dovuto passare il testimone a Virgo a maggio, ma prolunga la presa dati per consentire ad advanced Virgo di entrare in science mode, ma ancora non ci siamo. Arriviamo a luglio del 2017 quando Virgo può confermare ai colleghi americani la sua entrata in funzione. Molti dubitano che “l’italiano Virgo” possa vedere qualcosa. Invece il 14 agosto i tre interferometri, tra cui Virgo, osservano insieme il primo evento di coalescenza di un sistema di due buchi neri: è la prima onda gravitazionale vista da Virgo.

E tre giorni dopo, siamo al 17 agosto, un nuovo evento. Ma in quest’occasione, grazie anche alla collaborazione sottoscritta tra i fisici degli interferometri e gli scienziati astronomi che lavorano ai dati dei satelliti Fermi e Integral, c’è l’osservazione – quasi in contemporanea con l’onda gravitazionale – di un raggio gamma da una sorgente distante 120 milioni di anni luce. Osservati a Terra con un ritardo di 1,7 secondi l’una dall’altro, segnano l’inizio di una nuova era, quella dell’astronomia multi messaggera.

Ricci racconta che quegli accordi tra fisici e astronomi sono «il primo passo verso la costruzione di una vasta rete di rilevatori variegati capace di caratterizzare in modo esteso quei processi stellari che emettono sia onde gravitazionali che elettromagnetiche, come nel caso della collisione di un sistema di due stelle di neutroni». Ne è talmente convinto da perorare l’idea della raccolta differenziata di dati e scrive: «occorre una sonda che ci consenta di capire quale sia la fisica che descrive i corpi stellari super compatti come i buchi neri e/o i primissimi istanti di vita dell’universo quando materia ed energia erano in condizioni di densità per noi inimmaginabili».

Il clamore suscitato nel mondo per l’osservazione delle onde gravitazionali è legato alla speranza che possano essere un indizio per arrivare a comprendere «quale sia la fisica che descrive i corpi stellari super compatti come i buchi neri e/o i primissimi istanti di vita dell’Universo quando materia ed energia erano in condizioni di densità per noi inimmaginabili», scrive l’autore.

Ma cosa c’è dietro l’angolo? Generazioni di interferometri che abbiano almeno un miglioramento di un fattore 10 su tutto l’intervallo di frequenza. Questo consentirebbe di rilevare segnali di coalescenza di buchi neri fino a quasi il confine dell’universo. In particolare, molte aspettative sono riposte sullo studio del futuro rilevatore europeo Einstein Telescope, approfondito da gruppi di scienziati e finanziato dall’Unione Europea, e che potrebbe trovare collocazione in Italia. Ricci parla di un sito in Sardegna come di un luogo adatto per il nuovo rilevatore.

Le nuove generazioni di rilevatori puntano ad attenuare il rumore termico, adottare nuove tecniche di ottica quantistica e utilizzare la criogenia, tra le ipotesi di lavoro. Infine, la domanda delle domande: «Ma a noi uomini della strada, tutto questo cosa cambia nella vita di tutti i giorni?». Ricci offre diverse argomentazioni, ma conclude che il solo scopo, almeno dal suo punto di vista, è che «facciamo questo semplicemente per aumentare il nostro livello di conoscenza di ciò che ci circonda, perché siamo convinti che conoscere aiuti noi e l’umanità tutta ad agire in piena coscienza»