DAL 1999 A OGGI SOTTO L’OCCHIO DI CHANDRA

Vent’anni a spasso con la Crab

Pubblicata una nuova immagine composita della Nebulosa del Granchio, ottenuta dalle osservazioni multifrequenza dei telescopi spaziali Chandra, Hubble e Spitzer. All’origine della nebulosa, un’esplosione di supernova osservata sulla Terra nel 1054

     14/03/2018

Crediti: X-ray: Nasa/Cxc/SaO; Ottico: Nasa/Stsci; Infrarossi: Nasa/Jpl/Caltech

Nel 2019 ricorrerà il ventesimo anniversario del lancio dell’osservatorio spaziale per raggi X Chandra. Uno fra i primissimi oggetti finiti nel mirino di Chandra è la Crab: da allora a oggi, il satellite Nasa ha più volte esaminato la Nebulosa del Granchio con la sua nitida vista a raggi X.

Le ragioni per studiare la Crab sono molteplici. Anzitutto, l’esplosione cosmica che ne è all’origine è una fra le poche per le quali sia disponibile una datazione storica precisa. Poter disporre d’una successione temporale certa è di grande aiuto per gli astronomi, che possono così studiare a fondo i dettagli dell’esplosione e le sue conseguenze.

Una datazione, quella della Crab, resa possibile dalla quantità e varietà di testimonianze – provenienti da diversi paesi – relative all’improvvisa apparizione, nel 1054, di “una nuova stella” nel cielo, in direzione della costellazione del Toro. Da allora abbiamo scoperto parecchie cose. Oggi gli astronomi sanno che il cuore della Nebulosa del Granchio è una stella di neutroni fortemente magnetizzata e in rapida rotazione – una pulsar, dunque – che si formò quando una stella massiccia, esaurito il suo combustibile nucleare, finì per collassare su sé stessa. La combinazione di rotazione rapida e intenso campo magnetico genera, nella Crab, un potente campo elettromagnetico dal quale hanno origine, dai poli nord e sud della pulsar, getti di materia e antimateria, mentre un vento vorticoso si diffonde lungo il piano dell’equatore

L’immagine più recente della Crab, che vedete qui in apertura, è una composizione multifrequenza ottenuta dai dati in banda X di Chandra (blu e bianco), in ottico dello Hubble Space Telescope (viola) e in infrarossi del telescopio spaziale Spitzer (rosa) della Nasa. L’estensione dell’immagine a raggi X è più piccola delle altre perché gli elettroni estremamente energetici che emettono raggi X irradiano via la loro energia più rapidamente degli elettroni a energia più bassa che emettono luce ottica e infrarossa.