IMPROVVISAMENTE L’ESTATE SCORSA

S’è risvegliato il mostro, ed è un BL Lac

Si trova tra la costellazione del Serpente e quella della Vergine, a 2.7 miliardi d’anni luce da noi. Ha una massa pari a 400 milioni di volte quella del Sole. E sta offrendo ai ricercatori, guidati da Gabriele Bruni e Francesca Panessa dell’Inaf di Roma, uno spettacolo mai visto prima per oggetti del suo tipo

     13/03/2018

Gabriele Bruni e Francesca Panessa, astrofisici dell’Inaf Iaps di Roma, indicano l’esatta posizione nel cielo gamma del “mostro” da loro scoperto. Crediti: James Rodi / Inaf

Per almeno vent’anni se n’è stato zitto e quieto. Anzi, “radio-quieto”, come lo definiscono gli astronomi: è infatti un raro tipo di blazar, per l’esattezza un oggetto di tipo BL Lac, dall’emissione radio debolissima. Nome in codice J1544–0649, si trova al centro di una galassia a 2.7 miliardi di anni luce da noi, fra la costellazione del Serpente e quella della Vergine. È un buco nero supermassiccio da 400 milioni di masse solari: cento volte più grosso, dunque, di Sagittarius A*, il cuore nero della Via Lattea. E, proprio come Sagittarius A*, se n’è stato appunto buono a lungo. Poi, il 15 maggio 2017, un improvviso ruggito alle alte energie. Abbastanza forte da far tremare i telescopi spaziali X e gamma. Mai si era udito nulla di simile provenire da un oggetto del genere. Ad accorgersene, e a seguirlo passo passo in questa sua fase inquieta, un team internazionale guidato da due astrofisici dell’Inaf, Gabriele Bruni e Francesca Panessa, entrambi in forze allo Iaps di Roma, dove li abbiamo raggiunti per un’intervista.

Bruni, torniamo a quel 15 maggio: come vi siete resi conto che il vostro BL Lac si stava comportando in modo strano?

«Ad accorgersene per primo, osservando un’emissione gamma, è stato lo strumento Lat del telescopio spaziale Fermi. Due settimane più tardi, il 29 maggio, Swift/Xrt ha rilevato un’altra emissione, questa volta in banda X. A quel punto abbiamo iniziato a osservarlo con il parabolone da 100 metri del radiotelescopio di Effelsberg, in Germania. Dando inizio a una campagna che è proseguita per quattro mesi, da giugno a settembre, anche con Swift. E il 23 agosto con un telescopio ottico messicano, il San Pedro Martir Telescope».

Perché vi ha incuriosito al punto da scomodare tutti questi strumenti?

«Possiamo dire che questo oggetto cade nella classe dei radio-weak BL Lac, una nuova classe di sorgenti descritta per la prima volta su ApJ, nel 2017, da un team guidato da Francesco Massaro (astrofisico all’Università di Torino) grazie a osservazioni compiute con Fermi: sorgenti che emettono in gamma, come i BL Lac, ma che in radio sono molto deboli. Ebbene, fra i membri noti di questa classe, quello che stiamo osservando è il primo che sia mai stato visto “accendersi”. Dunque è la dimostrazione che anche questi BL Lac radio-weak possono avere burst intensi alle alte energie».

Un’osservazione fortunata?

«Be’, averlo colto nella fase di risveglio, o di prima emissione, è un evento assai raro, perché la vita di un nucleo galattico attivo (Agn) si sviluppa su scale di migliaia – se non centinaia di migliaia – di anni. Quindi, vedere il momento in cui cambia qualcosa, nella vita di un Agn, è davvero difficile».

Il primo BL Lac radio-weak mai colto al “risveglio”, dunque. Panessa, questo lo chiedo a lei: avete qualche ipotesi su cosa possa averlo scatenato?

«Abbiamo preso in considerazione un paio di scenari. Il primo è che si tratti di una nuova radiogalassia, il cui getto ha avuto inizio appunto a maggio: un primo vagito. Ha fatto il botto, è vero, però non sembra essere un nucleo troppo potente, sta partendo in modo relativamente tranquillo».

L’altra ipotesi, invece?

«Il secondo scenario è appunto quello del risveglio del mostro: era acceso, si è spento, e ora qualcosa ha riattivato l’attività del getto».

E ora che farete?

«Anzitutto lo abbiamo osservato anche con il Vlba americano, per vedere con una risoluzione pari al milliarcosecondo che cosa c’è al centro del mostro. Inoltre, grazie ai 50mila secondi che abbiamo ottenuto con il telescopio spaziale Xmm-Newton dell’Esa, siamo riusciti a vedere che l’emissione mostra una variabilità anche sulla scala dei giorni, con flare estremi, in banda X, di un fattore cento: una cosa mai vista in un blazar. Infine, abbiamo già ottenuto a Effelsberg un prolungamento della campagna osservativa: nei prossimi mesi potremo così continuare a tenerlo sott’occhio in banda radio, speriamo che a breve cambi qualcosa anche qui».


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