GRAZIE ANCHE ALLO STRUMENTO ITALIANO IBIS

La conferma di Alfvén

Un nuovo studio, pubblicato su Nature Physics e guidato da ricercatori della Queen's University Belfast, conferma che le onde di Alfvén partecipano al surriscaldamento della corona solare. «Queste onde che si propagano in strutture magnetiche nell’atmosfera solare sono effettivamente in grado di scaldare l’atmosfera della nostra stella», commenta Marco Stangalini, ricercatore dell’Inaf di Roma

     08/03/2018

Rappresentazione di una macchia solare sul bordo del sole, con la Terra riportata in scala dimensionale. Le linee di campo magnetico che si estendono verso l’alto dalle macchie solari possono formare delle sottili onde d’urto che riscaldano gli strati superiori dell’atmosfera di migliaia di gradi. Crediti: Emma Gallagher

Un nuovo studio pubblicato su Nature Physics segna un’importante svolta nello studio delle onde di Alfvén (onde trasversali che sono generate in un plasma situato all’interno di un campo magnetico) per comprendere il surriscaldamento della corona solare. Ricercatori della Queen’s University Belfast hanno guidato una team internazionale verso la conferma di quanto ipotizzato nel lontano 1942 dal fisico e ingegnere svedese Hannes Alfvén, che vinse il Premio Nobel per la Fisica nel 1970 proprio per i suoi studi di magnetoidrodinamica.

Fin dalla loro teorizzazione, le onde di Alfvén furono identificate come uno dei migliori meccanismi di riscaldamento di un plasma. Tuttavia queste onde sono molto difficili da osservare. Ora, grazie a osservazioni ad alta risoluzione effettuate con lo strumento italiano Ibis installato al Dunn Solar Telescope in New Mexico (USA), assieme a osservazioni complementari del satellite Solar Dynamics Observatory della Nasa, gli autori del nuovo studio sono riusciti ad analizzare i campi magnetici più forti che appaiono nelle macchie solari e a dimostrare per la prima volta che queste onde, propagantesi in strutture magnetiche nell’atmosfera solare, sono effettivamente in grado di scaldare l’atmosfera della nostra stella.

Lo scorso anno, un gruppo di ricerca guidato da Marco Stangalini, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Astrofisica di Roma, aveva identificato per la prima volta queste onde nell’atmosfera del Sole. Lo studio sottolineava il loro possibile coinvolgimento nel riscaldamento del plasma della stella come ci si attendeva dalla teoria. Alla luce della conferma della teoria di Alfvén abbiamo chiesto a Stangalini un commento per Media Inaf.

La teoria di Hannes Alfvén è confermata. Ci può spiegare l’importanza di questo nuovo studio e le differenze con quelli precedenti?

«Tra tutti i tipi di onde presenti nel plasma dell’atmosfera solare, le onde di Alfvén sono sempre state considerate uno dei migliori meccanismi fisici in grado di trasportare energia verso gli strati più esterni della stella. Queste onde di tipo magnetico, la cui presenza nell’atmosfera solare era stata già confermata, sono tuttavia molto difficili da osservare. In particolar modo, la maggior parte dei meccanismi fisici di riscaldamento del plasma ad esse associati avviene a scale spaziali che saranno pienamente accessibili solamente con l’avvento dei telescopi solari di nuova generazione come Dkist e il telescopio solare europeo Est. Questo studio rappresenta un decisivo passo in avanti rispetto al passato, mostrando evidenze osservative chiare che dimostrano come questo tipo di onde costituisca un meccanismo molto efficiente di riscaldamento del plasma solare».

Comprendere il perché del riscaldamento della corona e del vento solare è determinante anche per altri ambiti di ricerca. Quali saranno i nuovi scenari alla luce di questa conferma?

Macchia solare confrontata con le dimensioni della Terra. Crediti: Queen’s University Belfast

«Le onde di Alfvén sono state proposte come meccanismo di riscaldamento in molti contesti astrofisici e fisici, dai dischi proto stellari, ai reattori a fusione nucleare. Il Sole rappresenta uno dei nostri migliori laboratori di fisica del plasma, dove è possibile osservare direttamente processi fisici alle scale spaziali di interesse. In questo senso, questo studio fornisce elementi nuovi che possono essere utili non solo alla comprensione della nostra stella, ma anche in altri settori dell’astrofisica e della fisica dei plasmi».

Quale è stato il contributo dell’Istituto Nazionale di Astrofisica in questo nuovo studio?

«Fa piacere notare come questo importante risultato sia stato ottenuto grazie ai dati acquisiti dallo strumento italiano Ibis, installato nel 2003 presso il telescopio Dunn Solar Telescope in New Mexico (USA). Ciò dimostra che Ibis, esempio di strumenti che saranno realizzati per i telescopi solari di nuova generazione, è uno strumento di grande rilievo nel panorama internazionale».

Per saperne di più:

  • Leggi su nature Physics “Alfvén wave dissipation in the solar chromosphere“, di Samuel D. T. Grant, David B. Jess, Teimuraz V. Zaqarashvili, Christian Beck, Hector Socas-Navarro, Markus J. Aschwanden, Peter H. Keys, Damian J. Christian, Scott J. Houston & Rebecca L. Hewitt