DARK ENERGY E DARK MATTER ADDIO?

Come vivere felici senza universo oscuro

Due articoli firmati dall’astronomo svizzero André Maeder, entrambi pubblicati su ApJ, presentano un modello cosmologico che ambisce a spiegare ciò che osserviamo senza dover ricorrere a energia e materia oscure. È plausibile? Lo abbiamo chiesto a un cosmologo dell’Inaf, Carlo Burigana

     07/12/2017

André Maeder. Fonte: fototeca online dell’università di Ginevra

Come sarebbe scoprire che quel 95 per cento di universo a noi sconosciuto in realtà non c’è? O meglio, che non c’è alcun bisogno di presumere l’esistenza di un’energia oscura e di una materia altrettanto oscura che, stando ai modelli cosmologici attuali, dovrebbero invece costituire rispettivamente – andando a spanne – il 70 per cento e il 25 per cento del bilancio energetico totale del cosmo? E che quelle due misteriose entità che gli scienziati stanno disperatamente cercando d’intrappolare da decenni sono null’altro che il frutto d’un equivoco?

L’idea che sia possibile spiegare ciò che osserviamo senza ricorre alle due componenti oscure non è inedita: abbiamo avuto occasione di parlarne anche su queste pagine, sia d’alternative all’energia oscura sia d’alternative alla materia oscura. E proprio a questo filone si aggiungono ora due articoli pubblicati su The Astrophysical Journal Letters, uno lo scorso gennaio e l’altro a inizio novembre, firmati entrambi da un unico autore: l’astronomo André Maeder, direttore del l’Osservatorio di Ginevra dal 1992 al 1998 e oggi professore emerito presso l’Università di Ginevra.

Il lavoro di Maeder aggredisce la concezione attualmente accettata sin dalle fondamenta, ovvero dal modello – descritto con gli strumenti della relatività generale di Einstein, della gravitazione universale di Newton e della meccanica quantistica – che fa derivare tutto ciò che osserviamo dal Big Bang e dalla successiva storia d’espansione. «In questo modello c’è un’ipotesi di partenza che, secondo me, non è stata presa in considerazione», spiega lo scienziato. «Mi riferisco all’invarianza di scala dello spazio vuoto. In altre parole, lo spazio vuoto e le sue proprietà non cambiano a seguito di una dilatazione o contrazione». Ebbene, da questa constatazione Maeder ha derivato un nuovo modello che permetterebbe, secondo lo scienziato, di spiegare vari fenomeni attualmente ritenuti governati da entità oscure: dall’espansione accelerata dell’universo, attribuita a una forma di dark energy, alla velocità delle galassie negli ammassi, uno dei molti indizi della presenza di una dark matter.

Poiché l’argomento è tanto affascinante quanto complesso, per approfondirlo ci siamo rivolti allo scienziato che già ha curato, per la rubrica di Media Inaf dedicata a “Voci e domande dell’astrofisica”, proprio la voce sulla materia oscura, Carlo Burigana, cosmologo all’Istituto di radioastronomia dell’Inaf.

Il punto di partenza dell’ipotesi di Maeder è l’invarianza di scala dello spazio vuoto. Burigana, di che cosa si tratta?

«L’argomento è piuttosto formale e riguarda i fondamenti delle teorie della gravità nel formalismo tensoriale e nelle sue estensioni, sviluppate fin dagli anni Venti da vari autori, Herman Weyl in particolare, e riprese poi negli anni Settanta. In realtà, gli aspetti più formali del modello di Maeder vengono sviluppati in un suo lavoro precedente, mentre nel nuovo articolo l’autore si concentra sul formalismo dedicato agli aspetti più legati alle osservazioni astronomiche. Alla base vi sono le regole di trasformazione tra sistemi di riferimento e delle quantità rilevanti della fisica (ad esempio, nella relatività einsteiniana la velocità della luce è un invariante). Qui in gioco vi è la trasformazione dell’elemento di linea nello spazio-tempo e di come trasformino scalari, vettori e tensori, quando si assume, oltre alla generale covarianza, l’ipotesi di invarianza di scala dello spazio vuoto. Nel modello, un fattore (moltiplicativo) di scala, l, esprime come si trasforma l’elemento di linea nel passaggio tra due sistemi di riferimento differenti, il suo quadrato come trasforma il tensore metrico. Il principio cosmologico richiede che il fattore di scala dipenda solo dal tempo. Le quantità scalari, vettoriali e tensoriali trasformano “moltiplicativamente” con una potenza del fattore di scala. Se l’esponente è diverso da zero allora si parla di trasformazioni con covarianza di scala, se esso è zero si parla trasformazioni con invarianza di scala (l0 = 1, e quindi di quantità invarianti di scala), che in pratica si può vedere come un sottoinsieme notevole delle possibili trasformazioni».

Perché, almeno secondo l’autore, questo potrebbe rendere superflue le “componenti oscure”?

«Nel modello su delineato, l’autore deriva le equazioni cosmologiche fondamentali, ottenendo relazioni – incluse le leggi di conservazione e le proprietà geometriche – modificate rispetto a quelle standard e mostrando come, a basse densità, la soluzione per modelli con invarianza di scala contempli un termine per certi versi analogo (ma la cui natura è da collegarsi solo all’evoluzione del fattore di scala) a quello di “accelerazione” introdotto dalla costante cosmologica».

E così si potrebbe forse fare a meno dell’energia oscura…  Ma la materia oscura?

«Nello studio in oggetto, Maeder mostra come tale teoria possa svilupparsi nell’approssimazione di campo debole, adatta alle scale galattiche e di ammassi di galassie, e di come nelle equazioni dinamiche (per certi versi analoghe a quelle newtoniane) appaia un termine di accelerazione verso l’esterno che consente di interpretare i dati osservativi di natura dinamica in alternativa alla spiegazione basata sulla materia oscura».

Carlo Burigana, cosmologo Inaf

In che senso?

«La materia oscura, in inglese dark matter, venne introdotta proprio per giustificare le osservazioni sulla dinamica di galassie e poi ammassi di galassie che, nell’ambito delle teorie dinamiche e di gravità standard, non potevano essere ricondotte alla quantità e distribuzione di materia in grado di emettere radiazione elettromagnetica. Da cui l’idea della presenza di materia non visibile (dark) responsabile degli effetti dinamici (in primis di natura gravitazionale), diversamente inspiegati. Così pure la scoperta dell’accelerazione recente dell’universo, interpretabile in termini di una costante cosmologica (Λ, o lambda) non banale o di contributi da una energia oscura, viene spiegata dall’autore in termini assai diversi».

Insomma, un modello che sembra poter fare a meno di entrambe le componenti oscure dell’universo?

«Già. Tuttavia è importante notare che l’idea di modificare la nostra visione della fisica fondamentale, tra cui le teorie dinamiche e di gravità, così come la predizione di lambda, è stata ed è, a sua volta, perseguita in molteplici studi e sviluppi. Se la scoperta delle particelle ipotizzate per spiegare il 95 per cento della densità di energia dell’universo continuerà a mancare, gli scenari non basati sulla presenza di tali particelle, qualora superassero le molteplici verifiche osservative, in base al principio del rasoio di Occam, non potranno che rafforzarsi».

Eppure la maggior parte degli astrofisici è scettica… Perché?

«Beh, ovviamente ciascuno avrà le proprie opinioni (anche molto tecniche nel caso). Personalmente, come penso testimonino lo stile e la dedica di un volume che ho curato per Springer assieme a Mauro D’Onofrio [Questions of Modern Cosmology, ndr], ritengo che ogni idea formulata in modo scientifico meriti attenzione e considerazione. Dal punto di vista generale, la scienza spesso evolve secondo due ispirazioni fondamentali: provare a identificare, scoprire in modo robusto entità (particelle, nel caso) non ancora evidenti dal punto di vista sperimentale, ma invocate teoricamente, e plausibili fenomenologicamente, per giustificare realtà osservative; oppure, viceversa, elaborare nuove visioni e teorie che non abbiano bisogno affatto di entità non ancora chiaramente provate. Due successi rilevanti, ormai “classici”, in fisica moderna riconducibili a queste due tipologie sono rispettivamente la scoperta del neutrino e la confutazione dell’etere».

E questo come si declina nello sviluppo dei modelli in cosmologia?

«Una visione che, pur richiedendo e stimolando verifiche sperimentali dei propri “ingredienti fondamentali”, riesce a spiegare molti aspetti della realtà osservata, di solito motiva molti studiosi a svilupparla e approfondirla per giustificare, e predire, in quel quadro altre manifestazioni osservabili, spesso con successo ma anche aprendo nuovi interrogativi, così come avviene per il modello “standard” attuale di LCDM (e le sue varianti). Viceversa, una visione nuova, non ancora affermata, richiede notevoli approfondimenti per giustificare o almeno fornire elementi interpretativi a fenomenologie non ancora considerate e, se vi riesce, potrebbe rappresentare un nuovo paradigma scientifico, alternativo a quello precedente. Il più recente, di ampio respiro, in cosmologia è stato proprio il passaggio dai modelli con decelerazione dell’universo recente (CDM) a quelli con accelerazione dell’universo recente (LCDM). E così nulla ci impedisce di pensare che altri cambi di paradigma possano avvenire nel prossimo futuro!».

In conclusione: questa proposta di Maeder va presa seriamente in considerazione? Potrà avere ricadute concrete?

«Nel caso in esame, mi pare che l’evoluzione delle perturbazioni cosmologiche, l’interpretazione della struttura su larga scala e delle anisotropie del fondo cosmico e l’esplorazione dell’universo lontano siano ambiti rilevanti di sviluppo e confronto scientifico. E l’autore stesso onestamente scrive che la lista di problemi che meritano studi ulteriori è lunga. Vi è poi, in generale, la questione spinosa degli interessi che entrano in gioco nella dialettica della conoscenza. Alcuni – rari, confido – forse personalistici, altri riguardanti le scelte e gli investimenti in mezzi e competenze. Probabilmente e fortunatamente, lo sviluppo di progetti e infrastrutture e il continuo mix di approccio deduttivo e induttivo tipico delle scienze cosmologiche e astrofisiche consentono di esplorare molteplici scenari, fornendo dati ed elementi conoscitivi di ampio respiro che dovrebbero auspicabilmente consentire di studiare insiemi di modelli anche molto diversi, costituendo così ancora un ottimo antidoto contro pregiudizi o visioni parziali».


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