NIENTE DARK PHOTONS PER BABAR

Tace il lato oscuro della forza (elettromagnetica)

L’analisi di dieci anni di dati dell’esperimento BaBar, i cui risultati sono pubblicati ora su Physical Review Letters, consente di escludere che i fotoni oscuri, particelle che continuano a rimanere elusive e per ora solo ipotetiche, possano essere la spiegazione a un’anomalia muonica

     09/11/2017

Il rivelatore BaBar allo SLAC National Accelerator Laboratory. Crediti: SLAC

Il nome è già tutto un ossimoro: ‘fotone oscuro’. O in alternativa ‘fotone pesante’: altra espressione che quanto a paradossalità non scherza. E dovrebbe servire a chiarire – non ridete – il mistero della materia oscura. Peccato che non se ne trovi traccia. L’ultimo insuccesso, in ordine di tempo, è descritto sulle pagine di Physical Review Letters da circa 240 scienziati della collaborazione BaBar: un esperimento che per 10 anni, dal 1999 al 2008, ha raccolto nei laboratori dello Slac, a Stanford, dati da collisioni elettrone-positrone. Risultato: zero. Il fotone oscuro non c’è. O non si fa acchiappare.

Tornando seri: in fisica sperimentale un insuccesso non va considerato un fallimento, anzi. Fa parte del gioco, del percorso d’avvicinamento alla verità. È d’insuccesso in insuccesso che si stringono le maglie della rete. Ogni insuccesso, se ben conseguito, ci offre dunque nuova informazione. «Anche se non escludono l’esistenza dei fotoni scuri, i risultati di BaBar pongono limiti a dove possano nascondersi», osserva infatti il portavoce di BaBar, Michael Roney, dell’Università di Victoria (Canada). «Non solo: ora possiamo escludere definitivamente che i fotoni oscuri possano essere la risposta a un altro mistero intrigante, associato questa volta alla proprietà di una particella subatomica nota come muone».

Già, perché il fotone oscuro potrebbe spiegare uno scarto – conosciuto come (g − 2) anomaly – tra il valore osservato di una proprietà dello spin del muone e il valore previsto dal Modello standard. Parliamo di una discrepanza attorno allo 0,0002 per cento, sufficiente comunque a togliere il sonno ai fisici delle particelle. Ebbene, i fotoni oscuri sono stati suggeriti come possibile particella candidata a spiegare quest’anomalia. E un nuovo ciclo di esperimenti, avviato quest’anno al Brookhaven National Laboratory, si propone proprio di determinare se quest’anomalia sia davvero una scoperta.

Ma cosa dovrebbe mai essere, se esiste, un dark photon? Detto in breve, il lato oscuro della forza elettromagnetica. In altre parole, così come il fotone è il portatore della forza elettromagnetica emessa dalla normale materia barionica, quella che vediamo, il fotone oscuro sarebbe il portatore della forza elettromagnetica per la materia oscura.

Tornando all’insuccesso di BaBar, a raccogliere il testimone sarà l’esperimento giapponese Belle II, pronto a produrre, a partire dal 2018, un centinaio di volte più dati rispetto al suo predecessore, che comunque continuerà a restare in funzione ancora qualche anno. Insomma, lungi dall’arrendersi, con tenacia i fisici ripartono. Una volta che lo accetti, il lato oscuro è con te per sempre.

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