VOCI E DOMANDE DELL’ASTROFISICA

Neutrini: così mutevoli, così sfuggenti

Oltre a essere le particelle fondamentali più leggere, sono anche quelle che interagiscono meno con il resto della materia, tanto che possono attraversare la Terra come se fosse del tutto trasparente. Ma vale la pena cercare di afferrarne qualcuno, perché trasportano informazioni che nient’altro potrebbe fornirci

     09/06/2017

Il Sole visto in neutrini dal rivelatore Super-Kamiokande. Crediti: Super-Kamiokande Experiment

I neutrini sono le più leggere fra le particelle fondamentali del modello standard (insieme a elettroni e quarks). La loro esistenza fu postulata nel 1930 dallo scienziato tedesco Wolfgang Pauli, per spiegare alcune anomalie nel decadimento beta (ad esempio quello del neutrone). Furono rivelati per la prima volta nel 1956 da Clyde Cowan, Frederick Reines come prodotti delle reazioni nucleari. L’astronomia dei neutrini comincia nel 1968, quando Raymond Davis e John Bahcall rilevarono per la prima volta i neutrini prodotti al centro del Sole.

Oltre a essere le particelle fondamentali più leggere, i neutrini sono anche le particelle che interagiscono meno con il resto della materia, tanto che possono attraversare la Terra come se fosse del tutto trasparente. Questo rende la loro osservazione estremamente difficile. Nonostante le reazioni nucleari che hanno luogo all’interno delle stelle, e del Sole in particolare, producano un grande flusso di neutrini, dell’ordine di 100 miliardi al secondo per centimetro quadrato, in genere si riescono a catturare (misurare) solo poche decine di neutrini al giorno.

Proprio perché provengono da reazioni che coinvolgono nuclei e particelle ad alta energia, viaggiando poi senza essere assorbiti, i neutrini ci permettono di vedere direttamente le reazioni nucleari che avvengono nel centro delle stelle. Nel 1987, per esempio, sono stati osservati circa 10 neutrini prodotti durante l’esplosione di una supernova nella Grande Nube di Magellano.

Alcuni neutrini sono anche prodotti da urti fra protoni di alta energia, come nel caso di raggi cosmici che si propagano nella gas circumstellare. In particolare esistono alcune sorgenti astrofisiche, come le pulsar, che in linea di principio possono produrre protoni cosi’ energetici, da dare un flusso potenzialmente osservabile di neutrini. Siccome i protoni sono difficilmente rilevabili, dato che la loro emissione elettromagnetica è fortemente soppressa, i neutrini rimangono il canale privilegiato per la loro osservazione.

Studi in corso e domande aperte

Essendo particelle fondamentali che interagiscono solo debolmente, ci sono ancora oggi molte domande aperte sulle loro proprietà. Ad esempio, tutt’oggi non si sa ancora quale sia la loro massa. Inoltre è ben noto che i neutrini si manifestano in tre tipi diversi, e, dalle prime misure di neutrini solari, si è capito che possono mutare da un tipo all’altro. Ad oggi tuttavia non è chiaro quanto efficiente sia questa trasformazione, e infatti è in corso un esperimento fra Cern e Laboratori del Gran Sasso per misurarla.

100 miliardi al secondo per centimetro quadrato è il flusso di neutrini solari che giungono sulla Terra

Da un punto di vista astrofisico, sebbene i primi neutrini rilevati fossero di origine stellare (dovuti alle reazioni nucleari al centro delle stelle), oggi la ricerca astrofisica sui neutrini si è concentrata su particelle di alta energia che derivano da urti fra protoni relativistici. Questi neutrini potrebbero infatti fornirci un modo per osservare direttamente, nelle sorgenti i cui sono prodotti (nebulose da pulsar, resti di supernova, nuclei galattici attivi), protoni di alta energia, che poi arrivano a noi come raggi cosmici. Siccome i raggi cosmici perdono memoria del luogo di origine, e i fotoni non permettono di distinguere con facilità elettroni relativistici da protoni relativistici,  i neutrini sono il miglior modo per discriminare fra varie possibilità.

A tale scopo è stato realizzato in Antartide un rilevatore di neutrini, utilizzando parte della calotta glaciale. Una serie di rilevatori è stata a tale scopo letteralmente immersa in un chilometro cubo di ghiaccio (IceCube).

Il coinvolgimento dell’Istituto nazionale di astrofisica

Diversi gruppi all’interno dell’Inaf si dedicano allo sviluppo di modelli teorici per fare predizioni sull’emissione di neutrini prevalentemente associati a sorgenti relativistiche, come nebulose da pulsar, blazar, resti di supernova, Agn, e dovuti agli urti fra protoni di alta energia.


L’autore: Niccolò Bucciantini è ricercatore Inaf all’Osservatorio astrofisico di Arcetri

Su Media Inaf potrai trovare, mano a mano che verranno pubblicate, tutte le schede della rubrica dedicata a Voci e domande dell’astrofisica, scritte dalle ricercatrici e dai ricercatori dell’Istituto nazionale di astrofisica.