DALLE OSSERVAZIONI CONDOTTE DA ARECIBO

Costante di struttura fine, non cambi mai…

Presentati al 229esimo meeting AAS gli ultimi risultati di un esperimento che tenta di porre un nuovo limite alla più fondamentale tra le costanti della fisica. Secondo lo studio, di prossima pubblicazione, nel corso di 3 miliardi di anni la costante di struttura fine non sarebbe cambiata più di 1,3 parti su un milione

     05/01/2017

Osservatorio di Arecibo, Puerto Rico.

Ci sono volute circa 150 ore di osservazioni pianificate nel corso di diversi anni presso il radiotelescopio di Arecibo, in Puerto Rico. Lo scopo? Capire se la più fondamentale tra le costanti della fisica sia realmente costante. La ricerca, di prossima pubblicazione, è stata presentata da Tapasi Ghosh, co-autrice dello studio, al 229esimo meeting dell’American Astronomical Society (AAS) che si sta svolgendo in questi giorni a Grapevine, nel Texas.

Si scrive α, si legge “costante di struttura fine” e sta a indicare l’interazione elettromagnetica tra le particelle elementari cariche. Il suo valore è importante perché ci fornisce preziosi indizi sulla natura degli spettri atomici che, a loro volta, consentono agli astronomi di misurare la velocità radiale delle galassie derivata, appunto, dall’osservazione delle righe spettrali. E sono state proprio queste osservazioni che hanno permesso di scoprire la recessione delle galassie, cioè il fatto che esse si stanno allontanando le une dalle altre, con velocità che incrementano man mano che aumenta la distanza tra loro: una manifestazione dell’espansione dell’Universo.

Ora, l’attuale modello cosmologico che descrive l’espansione cosmica accelerata dipende dall’assunzione che né α µ, il rapporto tra le masse del protone ed elettrone, siano variate nel corso del tempo. Si tratta, però, di un’assunzione chiave legata alla determinazione dell’età dell’Universo. La domanda è: che succede se α varia nel tempo? Inevitabilmente, la nostra comprensione sulle distanze cosmiche o sull’età dell’Universo andrebbe rivista. Dunque, per tentare di rispondere a questa domanda, il radiotelescopio di Arecibo è stato di recente utilizzato per cercare di porre un nuovo limite sul concetto di “costante”. Gli ultimi dati in letteratura scientifica suggeriscono che ci potrebbe essere una minima variazione della costante di struttura fine, ma è ancora troppo presto per dirlo: stiamo parlando di incertezze dell’ordine di una parte su un milione, perciò non è ancora arrivato il momento di “cantar vittoria”.

Le osservazioni sono state condotte da Nissim Kanekar e Jayaram Chengalur del National Center for Radio Astrophysics in India, e da Tapasi Ghosh dell’Universities Space Research Association (USRA) presso l’Arecibo Observatory. Il loro esperimento si basa su un’incredibile “coincidenza cosmica” che riguarda il quasar PKS 1413+135, situato a circa 3 miliardi di anni luce. Di fronte a questo oggetto, e probabilmente attorno al suo nucleo radio brillante, si trova una nube di molecole OH (noto anche come ossidrile). Le proprietà atomiche dell’ossidrile OH sono abbastanza note, sia da studi teorici che di laboratorio. Nel caso in questione, la nube OH si osserva in due righe spettrali (a 1612 MHz e 1720 MHz). Ciò che appare insolito è che una delle due righe (quella a 1612 MHz) si vede in assorbimento mentre l’altra in emissione. Gli astronomi dicono che si tratta di righe “coniugate”: appaiono cioè come delle immagini riflesse di una sull’altra, il che indica che hanno origine dalla stessa nube di gas. Questa situazione rappresenta un fattore determinante perché permette agli scienziati di ridurre le incertezze sistematiche quando si realizzano le misure di α.

Perciò, con gli spettri ottenuti da Arecibo, è stato possibile misurare la differenza tra le due frequenze associate alle due righe spettrali in modo da essere confrontata con quella ricavata in laboratorio. Poiché il quasar si trova a circa 3 miliardi di anni luce, nel passato, e il laboratorio nel presente, si può determinare di quanto realmente α sia rimasta costante nel corso del tempo. Le 150 ore di integrazione sono servite proprio per questo motivo, cioè per confrontare le due righe spettrali con una elevata accuratezza: il risultato ottenuto dagli autori implica che nel corso di 3 miliardi di anni la costante di struttura fine non è variata più di 1,3 parti su un milione.

Certo, per ottenere misure ancora più accurate occorrerebbe richiedere più ore di osservazione o, nel caso fortuito, trovare un oggetto più distante dove è presente nelle sue vicinanze una simile nube dell’ossidrile OH. Ad esempio, per incrementare l’accuratezza delle misure di un fattore 10, gli astronomi dovrebbero richiedere un tempo di osservazione 100 volte superiore rispetto a quello che è stato concesso per questo esperimento, una situazione che non pare attualmente fattibile.

Insomma, per ora la misura ottenuta da uno strumento “venerabile” rappresenta il nuovo standard che ci permette di dire quanto siamo certi sul fatto che una costante fisica fondamentale, correlata alle dimensioni e alla scala delle distanze cosmiche, sia davvero costante. «Speriamo che le future ricerche che hanno l’obiettivo di identificare quasar candidati che esibiscano uno spettro con le righe dell’ossidrile OH abbiano successo», conclude Ghosh. «Ciò, permetterebbe di porre dei limiti ancora più stringenti su una eventuale variazione della costante di struttura fine».