SPERIMENTATO ALL’INTERFEROMETRO USA CHARA

Come ti rendo visibile l’infrarosso

Un gruppo di ricerca franco-statunitense ha convertito la luce infrarossa raccolta simultaneamente da due telescopi in luce visibile, mantenendo i relativi fasci “coerenti”. Un risultato tecnologico, ipotizzato da tempo, che permetterà di incrementare notevolmente la sensibilità dei telescopi infrarossi interferometrici. «Potenzialmente», commenta Roberto Ragazzoni dell’INAF, «possiamo già concepire di collegare tra loro telescopi anche molto lontani tra loro, configurando un osservatorio infrarosso grande come la Terra»

     05/12/2016
Il CHARA (Center for High Angular Resolution Astronomy) Array a Mount Wilson

Il CHARA (Center for High Angular Resolution Astronomy) Array a Mount Wilson, sopra Los Angeles (USA)

Una nuova tecnica che converte la luce infrarossa in luce visibile è stata per la prima volta verificata con successo in una coppia di telescopi dell’interferometro ottico CHARA, costituito complessivamente da sei riflettori da un metro che lavorano assieme, nella banda visibile e del vicino infrarosso, all’osservatorio di Mount Wilson, sopra Los Angeles, negli USA. Il nuovo risultato, appena pubblicato su Physical Review Letters, è stato ottenuto da un gruppo di ricerca franco-statunitense  guidato da Pascaline Darré, neo dottorata al dipartimento di fotonica dell’Università di Limoges, in Francia.

Le osservazioni astronomiche nella banda infrarossa permettono di svelare aspetti complementari a quelli rilevabili nel visibile. Ad esempio, consentono di scrutare attraverso le nubi di polvere intergalattiche, che oscurano la luce visibile; oppure di fotografare oggetti “freddi”, come gli esopianeti in formazione. Tuttavia, le più scarse prestazioni dei rivelatori, nonché la luce termica emessa dagli specchi a queste lunghezze d’onda, rendono le osservazioni all’infrarosso decisamente più impegnative rispetto al visibile.

Uno schema dell'esperimento. Crediti: P. Darré et al., Phys. Rev. Lett. (2016)

Uno schema dell’esperimento. Crediti: P. Darré et al., Phys. Rev. Lett. (2016)

Nel loro esperimento, Darré e colleghi hanno convertito in luce visibile rossa la luce infrarossa proveniente da una stella nella costellazione dell’Orsa Maggiore. La conversione è ottenuta mediante speciali guide d’onda, costituite da cristalli non lineari, dove la luce infrarossa è “miscelata” con una luce laser e convertita in luce visibile, attraverso un processo conosciuto come generazione di frequenze per somma, e quindi inviata ai rivelatori mediante fibre ottiche. Alla fine del percorso ottico, i fasci di luce provenienti dai due distinti telescopi sono risultati ancora “sincronizzati”, producendo le cosiddette frange d’interferenza.

I ricercatori sono quindi riusciti, per la prima volta, a misurare l’interferenza della luce raccolta da due telescopi distinti non combinando la luce direttamente, ma previa conversione della luce infrarossa in luce visibile, molto più  facile da trasportare attraverso una fibra ottica e da misurare con rivelatori convenzionali.

«La possibilità di ottenere questo risultato era già stata teorizzata dagli anni  ‘70/’80. Ora, grazie anche dallo sviluppo delle tecnologie per la comunicazione ottica in fibra, questo gruppo di ricerca ci è riuscito: bene, bravi!», commenta a Media INAF Roberto Ragazzoni, esperto di sistemi ottici dell’INAF di Padova. «Convertire la luce infrarossa di una stella in luce visibile e conservarne le informazioni di fase dell’onda luminosa apre nuove prospettive. Per ora siamo ai primordi: le stelle osservate sono Infatti brillanti e ben visibili ad occhio nudo. Ma, potenzialmente, si può già concepire di collegare tra loro telescopi anche molto lontani tra loro, configurando un osservatorio infrarosso grande come la Terra, così come da tempo avviene per le onde radio. Questo ci spinge, concettualmente, verso confini ben al di là di quelli attuali».

Per saperne di più sulle scoperte effettuate dal CHARA array leggi gli articoli su Media Inaf:

Guarda il video sul CHARA Array (in inglese) Interferometry: Sizing Up the Stars: