INTERVISTA AD ARIANNA DI CINTIO

Svelato il mistero delle galassie ultra diffuse

A rendere così sparse le galassie ultra diffuse, deboli ma estese quasi quanto la Via Lattea, sono le esplosioni di supernove. Lo dimostra una simulazione, i cui risultati sono ora pubblicati su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, guidata da una scienziata originaria di Pescara, Arianna Di Cintio, ora a Copenhagen

     01/12/2016
Arianna Di Cintio Credit: Ola Jakup Joensen

Arianna Di Cintio. Crediti: Ola Jakup Joensen

Lei è Arianna Di Cintio, PhD in astrofisica all’università autonoma di Madrid e ora ricercatrice indipendente al Dark Cosmology Center del Niels Bohr Institute (università di Copenhagen), classe 1984, nata a Pescara e laureata in fisica e astrofisica alla Sapienza – Università di Roma. Ed è la prima autrice di uno studio, pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, che svela l’enigma delle galassie deboli ultra-diffuse. Risolto grazie a simulazioni al computer realizzate in collaborazione con la New York University di Abu Dhabi.

Di Cintio, che galassie sono, queste che avete studiato? E come siete riusciti a chiarirne l’origine?

«Le galassie ultra-diffuse (UDG, dall’inglese Ultra-Diffuse Galaxies) sono nane, nel senso che hanno una massa, fra dark matter e stelle, paragonabile a quella delle galassie nane, ma sono estese in dimensioni come se fossero grandi galassie a spirale, tipo la nostra Via Lattea. Prima del nostro studio, non si conosceva un meccanismo di formazione appropriato che potesse creare questi oggetti. Grazie alle nostre simulazioni, che sono ad altissima risoluzione, abbiamo potuto verificare che alcune delle galassie simulate hanno proprietà simili alle UDG osservate. Siamo quindi andati a studiare in dettaglio queste galassie simulate, che possiamo guardare in un computer non solo nel loro stadio finale ma in tutta la loro formazione, e abbiamo così “svelato” il loro meccanismo di formazione.

Sono galassie nane che vanno incontro a ripetuti episodi di formazione stellare, alla fine dei quali alcune stelle esplodono come supernove, rilasciando energia al gas circostante, che viene portato a temperature elevate e quindi espulso molto rapidamente dal centro delle galassie. Questo fa sì che il potenziale gravitazionale al centro della galassia cambi su tempi scala molto brevi e la forza di attrazione gravitazionale centripeta diminuisca: la materia oscura, ma anche le stelle al centro della galassia, sono quindi libere di muoversi su orbite più esterne. Diciamo che si spostano dal centro verso regioni più esterne della galassia perché non sentono più la forza iniziale. Ecco così che si formano le UDG, galassie con poche stelle – la massa in stelle è stimata tra i dieci milioni e il miliardo di masse solari, mentre una galassia tipo Via Lattea, ad esempio, è molto più massiccia – ma estese su una superficie molto grande. In estensione, infatti, le UDG sono simili alla Via Lattea. Una galassia con poche stelle ma sparse vuol dire che la sua luce è molto diffusa, e difficilmente visibile con vecchi telescopi. Ecco perché solo nell’ultimo anno telescopi molto più potenti, come il Dragonfly array,  sono stati in grado di osservarle all’interno di ammassi di galassie, che sono zone ad alta densità di galassie».

Quali passi avanti consentirà la vostra scoperta?

«Il nostro lavoro dimostra che il meccanismo di formazione della UDG è interno, e non direttamente collegato ad un ambiente di ammassi: ci aspettiamo quindi di trovare UDG dappertutto, anche ‘isolate’, cioè lontane da ammassi. Inoltre ci aspettiamo che le UDG abbiamo un’alta quantità di gas, che serve appunto a creare questo meccanismo di espansione nella distribuzione di stelle e materia oscura. Ci aspettiamo anche che le UDG abbiano una star-formation-history, una fase di formazione stellare, che si protrae a lungo nel tempo, visto che più sono gli episodi di formazione stellare e più il processo di gas espulso è efficiente. Per finire, ci aspettiamo che le UDG abbiano la massa totale (comprendendo, cioè, materia oscura, stelle e gas) di una galassia nana: al momento sappiamo solo la loro massa in stelle, ma con future osservazioni, specie di gravitational lensing, speriamo di poter confermare il nostro risultato. Tutte queste cose sono predizioni teoriche del nostro modello che speriamo verranno verificate in osservazioni».

Grazie alla vostra simulazione, ci potrebbero essere sorprese nello scenario di studio del modello cosmologico? Cosa vi aspettate?

«I risultati della nostra simulazione dimostrano che, nel modello cosmologico standard – quello con un universo permeato di cold-dark matter, all’interno dei cui aloni si formano le galassie fatte di gas, stelle e appunto dark matter – si possono formare anche galassie ultra-diffuse. “Basta” tenere in conto i processi fisici che portano a una rapida evacuazione del gas a seguito di esplosioni di supernova durante la formazione stessa delle galassie».

In conclusione?

«Concludendo, le nostre simulazioni dimostrano che esplosioni ripetute di supernove posso “spingere” verso l’esterno anche materia non collisionale come le stelle, oltre che la dark matter, e possono quindi creare cores, ovvero zone di bassa densità di dark matter e stelle al centro della galassia stessa. Questo dà origine alle UDG, e molto probabilmente anche alle low surface brightness galaxies (LSB galaxies, galassie con bassa brillanza superficiale). Queste LSB galaxies sono il prossimo step su cui ci concentreremo: io da un punto di vista teorico, col supporto osservativo degli scienziati dello IAC, l’Istituto di astrofisica delle Canarie, che utilizzeranno il Gran Telescopio Canarias per osservare galassie molto molto deboli, come le LSB. Le LSB galaxies, cosi come le UDG, sono la nuova frontiera dell’astronomia: ci potrebbero essere molte più galassie intorno a noi di quelle finora osservate, che semplicemente non abbiamo ancora visto e non aspettano altro che essere scoperte! E noi cerchiamo di capirne la formazione da un punto di vista teorico».

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