NUOVE IPOTESI SULLE ORIGINI DI SPUTNIK PLANITIA

Il cuore pesante di Plutone

Ha la forma di un cuore e somiglia a una calotta polare: è Sputnik Planitia, un bacino ghiacciato di enormi dimensioni, osservato su Plutone per la prima volta nel 2015 grazie alla sonda New Horizons della NASA, e sulle cui origini gli scienziati si interrogano. Uno studio pubblicato su Nature propone una nuova ipotesi sulla sua nascita ed evoluzione

     30/11/2016
Plutone, in primo piano in questa immagine in falsi colori, ha un "cuore" di ghiaccio sulla propria superficie. E' individuabile nella foto il lobo a sinistra, quello meno ovale che corrisponde al bacino denominato provvisoriamente Sputnik Planitia. In secondo piano la luna di Plutone, Caronte. Crediti: NASA/JHUAPL/SWRI

Plutone, in primo piano in questa immagine in falsi colori, ha un “cuore” di ghiaccio sulla propria superficie. E’ individuabile nella foto il lobo a sinistra, quello meno ovale che corrisponde al bacino denominato provvisoriamente
Sputnik Planitia. In secondo piano la luna di Plutone, Caronte.
Crediti: NASA/JHUAPL/SWRI

È un enorme bacino ghiacciato dalla forma assai peculiare, la forma di un cuore, e somiglia molto a quella che sulla Terra è la calotta polare: è Sputnik Planitia, e si trova sul pianeta nano Plutone.  Il bacino è stato osservato per la prima volta nel 2015 grazie alle immagini raccolte dalla sonda New Horizons della NASA, e sulle sue origini gli scienziati si interrogano. Un nuovo studio guidato da Douglas Hamilton, professore di astronomia presso l’Università del Maryland, suggerisce che Sputnik Planitia si sia formata all’inizio della storia di Plutone e che le sue caratteristiche siano inevitabili conseguenze dei processi evolutivi del pianeta. L’articolo è stato pubblicato oggi sulla rivista Nature.

Recenti studi hanno attribuito il posizionamento di Sputnik Planitia rispetto alla superficie di Plutone all’azione delle forze mareali della sua grande luna, Caronte. Il bacino si trova infatti in posizione perfettamente opposta a quella nella quale, rispetto al pianeta nano, si trova la sua enorme luna, e il riempirsi di ghiaccio del bacino nel corso del tempo avrebbe riorientato Plutone rispetto ai suoi assi. Per quello che riguarda invece l’origine di Sputnik Planitia, essa è stata attribuita a un impatto, un gigantesco impatto, che avrebbe innescato la fuoriuscita di ghiacci volatili da un oceano nel sottosuolo, e, una volta formatosi il bacino, il ghiaccio si sarebbe andato accumulando naturalmente in tale depressione.

Ma nel nuovo studio guidato da Hamilton i ricercatori sostengono che l’accumulo di ghiaccio nella zona si sarebbe verificato anche in assenza della presenza pregressa del bacino, poiché quella è la zona più fredda presente su Plutone. Circa un milione di anni dopo la formazione di Caronte, i depositi di ghiaccio su Plutone si sarebbero concentrati in un unico “tappo”, una calotta situata vicino a una latitudine di 30 gradi, anche in ragione dell’effetto albedo. L’accumularsi del ghiaccio avrebbe causato un effetto gravitazionale tale da bloccarlo, col rallentare dell’orbita del pianeta, in una posizione longitudinalmente opposta a quella di Caronte.

«La principale differenza tra modello che propongo e gli altri è che suggerisco che la calotta di ghiaccio si sia formata presto, quando Plutone aveva una velocità di rotazione maggiore, e che il bacino si sia formato in seguito e non a causa di un impatto», spiega Hamilton, l’autore principale dello studio. Utilizzando un modello da lui stesso sviluppato, Hamilton ha rilevato che la posizione iniziale di Sputnik Planitia potrebbe essere spiegata dal clima insolito di Plutone e dal suo asse, che è inclinato di 120 gradi (l’inclinazione dell’asse della Terra è di 23,5 gradi). L’area situata a 30 gradi di latitudine nord e sud è quella più fredda del pianeta nano, di gran lunga più fredda rispetto ai poli. Il ghiaccio si sarebbe dunque formata attorno queste latitudini, compreso il centro di Sputnik Planitia, che si trova a 25 gradi di latitudine nord.

«Il grande cuore di Plutone pesa assai sul piccolo pianeta, provocando inevitabilmente la depressione del suolo», dice Hamilton, notando che lo stesso fenomeno si verifica sulla Terra: il ghiaccio della Groenlandia ha creato un bacino e spinto verso il basso la crosta su cui poggia.

Il modello proposto dal team guidato da Hamilton può spiegare sia la latitudine che la longitudine alla quale è collocata la Sputnik Planitia, così come il fatto che i ghiacci si siano accumulati dando origine a un bacino, ma vi sono altri modelli che vengono presentati nello stesso numero della rivista Nature. Tra gli altri uno studio guidato da Francis Nimmo dell’Università della California a Santa Cruz, e che vede lo stesso Hamilton tra i co-autori, modellizza la formazione della Sputnik Planitia attribuendone la nascita all’impatto sul pianeta di un oggetto celeste, che lo avrebbe colpito ad alta velocità. Il modello indicherebbe che il bacino potrebbe essersi formata dopo che Plutone ha rallentato la sua rotazione, spostandosi poi solo leggermente dalla sede attuale. Se questo scenario si dimostrasse corretto, le caratteristiche della Sputnik Planitia sembrerebbero suggerire la presenza di un oceano sotto la superficie su Plutone.

«Entrambi i modelli sono attuabili alle giuste condizioni», aggiunge Hamilton. «E anche se non possiamo concludere in modo definitivo che vi sia un oceano sotto la superficie ghiacciata di Plutone, non possiamo neanche affermare con certezza il contrario».

Anche se Plutone è stato privato del suo status di pianeta, una calotta di ghiaccio è una struttura sorprendentemente simile a quelle che si possono osservare sulla Terra: Plutone, insieme alla Terra e a Marte, è il terzo oggetto conosciuto a possedere una calotta ghiacciata. Un cuore che nasconde ancora tanti misteri.

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