DATI PROVENIENTI DALLA MISSIONE MMS

La riconnessione magnetica vista da vicino

La missione Magnetospheric MultiScale della NASA, grazie alla risoluzione senza precedenti dei dati raccolti dalle sue quattro sonde in formazione, è riuscita a osservare per la prima volta da vicino il fenomeno della riconnessione magnetica. I risultati, pubblicati su Science, indicano che i responsabili dell’innesco dell’evento sono gli elettroni. Il commento di Alessandro Bemporad dell’INAF-OATo

     12/05/2016
Rappresentazione artistica dei quattro veicoli spaziali che compongono la missione MMS della NASA in formazione. Crediti: NASA

Rappresentazione artistica dei quattro veicoli spaziali che compongono la missione MMS della NASA in formazione. Crediti: NASA

È raro che si presti attenzione al comportamento del campo magnetico terrestre, eppure è un elemento essenziale alla vita tanto quanto l’aria, l’acqua e la luce del Sole. Il campo magnetico del nostro pianeta, infatti, crea una barriera invisibile e di cruciale importanza, poiché ci protegge dai flussi di particelle cariche provenienti dal Sole e dovuti all’attività magnetica della nostra stella. In rare occasioni l’interazione tra questi due campi magnetici può causare vere e proprie tempeste, in grado di compromettere le comunicazioni e causare problemi sulla superficie terrestre.

Uno studio recente, realizzato sulla base di dati provenienti dalla missione Magnetospheric MultiScale (MMS) della NASA, ha permesso di ottenere una panoramica senza precedenti dell’interazione tra i campi magnetici della Terra e del Sole. L’articolo, pubblicato su Science, descrive la prima osservazione diretta e dettagliata del fenomeno chiamato riconnessione magnetica. La riconnessione magnetica è ciò che avviene quando due linee di campo magnetico si rompono e si collegano tra loro. Questo tipo di eventi rilascia enormi quantità di energia, ma non eravamo mai riusciti, fino ad ora, a osservarlo in dettaglio.

«Immaginate due treni che viaggiano uno verso l’altro su binari distinti e che all’ultimo momento vengono spostati sulla stessa coppia di rotaie», spiega James Drake, professore di fisica presso l’Università del Maryland e co-autore dello studio. «Ogni binario rappresenta una linea di campo magnetico, mentre l’evento di riconnessione è rappresentato dallo scambio ferroviario. L’incidente che ne deriva comporta l’emissione di un grande quantitativo d’energia dal punto di riconnessione verso l’esterno».

Tutti i dati raccolti fino ad ora indicano chiaramente che la riconnessione è la forza trainante alla base di eventi come brillamenti solari, esplulsioni di massa coronale, tempeste magnetiche e aurore visibili ai poli terrestri. Sebbene i ricercatori abbiano cercato di studiare per circa mezzo secolo questo processo fisico, sia in laboratorio che nello spazio, la missione MMS è la prima a osservare in grande dettaglio cosa accade durante un evento di riconnessione magnetica.

Le quattro sonde che compongono la missione MMS disposte lungo la loro formazione piramidale. La missione MMS è in grado di raccogliere un’immagine degli elettroni ogni 30 millisecondi. Crediti: NASA GSFC

Le quattro sonde che compongono la missione MMS disposte lungo la loro formazione tetragonale. La missione MMS è in grado di raccogliere un’immagine degli elettroni ogni 30 millisecondi. Crediti: NASA GSFC

Questo risultato è stato possibile perché la missione MMS ha ottenuto misurazioni con una precisione estremamente più alta che in passato. Composta da quattro veicoli spaziali identici, posti in formazione tetragonale ai margini del campo magnetico terrestre e a una distanza reciproca di circa 10 km uno dall’altro, la missione MMS è in grado di raccogliere immagini degli elettroni che cadono all’interno di questa piramide una volta ogni 30 millisecondi. Per confronto, la missione precedente in questo ambito di ricerca, la missione congiunta NASA ed ESA chiamata Cluster II, raccoglie un’immagine ogni tre secondi. In quello stesso arco di tempo MMS riesce a ottenere 100 misurazioni.

«Guardare i dati di MMS è qualcosa di straordinario. Il livello di dettaglio raggiunto ci permette di vedere con chiarezza dettagli che prima rimanevano sfocati», dice Drake. Il fatto di poter osservare con precisione la riconnessione è un traguardo di grande importanza. Uno degli obiettivi principali della missone MMS è determinare come le linee di campo magnetico si rompano, consentendo poi il loro ricongiungimento e il rilascio di energia. Misurare il comportamento degli elettroni in un evento di riconnessione consentirà una descrizione più accurata di questo importante processo fisico. I ricercatori sono soprattutto interessati a capire se si verifichi un processo ordinato o turbolento, con vortici di particelle ed energia rilasciata.

Avere un quadro più chiaro della fisica alla base della riconnessione magnetica ci porta anche un po’ più vicini alla comprensione della meteorologia spaziale, e ci aiuta a capire altri fenomeni astrofisici particolarmente energetici legati ai campi magnetici, come ad esempio il comportamento delle magnetar, stelle di neutroni con un campo magnetico insolitamente intenso.

«Comprendere la riconnessione è rilevante per una serie di domande scientifiche nel campo della fisica solare e dell’astrofisica», spiega Marc Swisdak, ricercatore presso l’Istituto di Elettronica e Fisica Applicata dell’Università del Maryland, che non è stato coinvolto nello studio, ma sta collaborando attivamente con Drake e altri alle analisi dei dati MMS. «La riconnessione del campo magnetico terrestre avviene ad energie relativamente basse, ma è ragionevole pensare di poter estrapolare ciò che vediamo anche ad energie maggiori. Il nostro campo magnetico è un eccellente laboratorio in cui possiamo far transitare una sonda e osservare da vicino il processo di riconnessione mentre avviene».

Abbiamo chiesto un commento ad Alessandro Bemporad, ricercatore presso l’Osservatorio Astronomico di Pino Torinese dell’INAF: «La riconnessione magnetica è lo stesso fenomeno fondamentale di fisica del plasma responsabile prima delle eruzioni solari, e poi della loro interazione con la magnetosfera terrestre e quindi delle tempeste geomagnetiche a Terra. Una delle domande fondamentali ancora aperte sulla riconnessione magnetica è: cosa provoca l’innesco della reazione? Recentemente le simulazioni numeriche avevano posto sempre di più l’attenzione sulla parte più interna del volume coinvolto nella riconnessione, una regione la cui dinamica è dominata dalle particelle più piccole che compongono i plasmi, ossia gli elettroni».

«La missione MMS della NASA», prosegue Bemporad, «ha esplorato per la prima volta la regione al bordo della magnetosfera terrestre (la magnetopausa) acquisendo misure con 4 satelliti ad una distanza relativa di circa 10 km, di poco superiore alla dimensione entro la quale si prevede che gli elettroni inneschino la riconnessione, distanza detta “electron skin depth”. Grazie anche all’elevata risoluzione temporale dei dati questo lavoro ha dimostrato per la prima volta l’evidenza di elevate densità di corrente associate ad un’elevata dissipazione ohmica, esattamente come atteso all’attraversamento della regione di riconnessione. Sembra quindi dimostrato che, perlomeno nella magnetosfera terrestre, la dinamica della riconnessione magnetica è dettata dalla dinamica degli elettroni che sono i primi responsabili dell’accensione di questo processo. Questo risultato avrà sicuramente ripercussioni sulle future interpretazioni delle cause delle tempeste geomagnetiche a Terra e delle eruzioni solari sulla nostra stella».

Ad oggi MMS si è concentrata solo sulla porzione del campo magnetico terrestre rivolta verso il Sole. In futuro la missione sorvolerà anche il lato opposto, per indagare la coda che si trova dalla parte opposta rispetto al Sole, arricchendo ulteriormente la nostra conoscenza di questi fenomeni fisici così vicini e fondamentali.

Per saperne di più:

  • Leggi su Science l’articolo “Electron-scale measurements of magnetic reconnection in space” di J. L. Burch, R. B. Torbert et al.

Guarda il servizio video su INAF-TV: