A LUI INTITOLATO IL TEST-LANDER DI EXOMARS

Schiaparelli: da Brera a Marte

Giovanni Virginio Schiaparelli è stato l’illustre astronomo che ha traghettato l’astronomia italiana dall’Unità al nuovo secolo. Divenne universalmente noto per le sue osservazioni di Marte. Per questo motivo, e per riconoscere l’impegno del nostro paese in ExoMars, il lander di test a bordo della prima missione porta il suo nome. Ecco un suo profilo

     09/03/2016
Ritratto di Giovanni Schiaparelli nel 1890.

Ritratto di Giovanni Schiaparelli nel 1890.

La prima navicella spaziale ExoMars, di prossima partenza per Marte, trasporta anche una sonda che dovrebbe atterrare sulla superficie del Pianeta Rosso il prossimo 19 ottobre, come avanguardia al rover da inviare successivamente, nel 2018. L’ESA ha chiamato questo modulo di test ‘Schiaparelli’, in onore di Giovanni Virginio Schiaparelli, astronomo del XIX secolo, direttore per quasi quarant’anni dell’Osservatorio Astronomico di Brera, divenuto universalmente celebre per le sue osservazioni di Marte. Un riconoscimento che vuole sottolineare il ruolo di primo piano giocato dal nostro Paese in ExoMars.

Ma chi era Schiaparelli? Nato a Savigliano, in provincia di Cuneo, il 14 marzo 1835, manifestò fin da bambino una grande curiosità per la scienza degli astri. Dopo la laurea in Ingegneria idraulica e Architettura civile, conseguita a soli 19 anni al Politecnico di Torino nel 1854, non esercitò la professione ma fece di tutto per inseguire l’originaria passione. Grazie a “borse di studio” procurate dal suo mentore Quintino Sella, andò ad ampliare le proprie conoscenze presso i migliori centri di studi astronomici europei, prima all’Osservatorio Reale di Berlino e poi presso l’Osservatorio di Pulkovo, a San Pietroburgo, acquisendo in breve tempo fama di brillante scienziato.

Nel 1960 fece ritorno in Italia – allora nel bel mezzo del processo di unificazione – per assumere l’incarico di “secondo astronomo” presso l’Osservatorio Astronomico di Brera, di cui il governo piemontese voleva risollevare le sorti. Ne divenne direttore due anni dopo, nel 1862, restando in tale carica fino al collocamento a riposo per raggiunti limiti di età, giusto al principio del nuovo secolo.

«Gli astronomi erano invidiosissimi», racconta Agnese Mandrino, responsabile dell’archivio storico dell’Osservatorio Astronomico di Brera, «e fecero di tutto perché Schiaparelli non raggiungesse le posizioni alle quali, invece, le autorità lo vollero mettere».

Il Merz da 8 pollici nella cupola Schiaparelli, sopra Palazzo Brera a Milano

Il Merz da 8 pollici nella cupola Schiaparelli, sopra Palazzo Brera a Milano

Grazie alla combinazione di ottima reputazione scientifica e di agganci politici, Schiaparelli riuscì a ottenere immediatamente per l’Osservatorio un nuovo strumento, un telescopio rifrattore Merz con lente da 8 pollici (22 cm), che fu ordinato nello stesso 1862 ed entrò in servizio regolare a partire dal 1875, nella nuova cupola appositamente costruita in cima a Palazzo Brera, dove è tutt’oggi visibile.

«Costava tantissimo», commenta Mandrino. «Ma il suo valore storico è ancora maggiore, perché è stato il primo strumento scientifico acquistato dopo l’unità d’Italia, con lo scopo di rilanciare la politica scientifica italiana, in un paese che era distrutto, un paese dove tre quarti della popolazione non aveva cibo sufficiente per passare la giornata».

Lo strumento era stato richiesto soprattutto per la compilazione di un catalogo di stelle doppie, per poterne determinare la massa, ma grazie a esso Schiaparelli realizzò altre famose osservazioni, come quelle sulle comete e il loro legame con gli sciami meteorici, una sua brillante intuizione confermata solo più tardi.

Le osservazioni di Marte, alle quali Schiaparelli deve la maggiore diffusione della sua fama, iniziarono quasi per caso: una notte in cui le condizioni meteorologiche non permettevano le previste misurazioni di stelle doppie, Schiaparelli puntò il telescopio su Marte e si accorse che, con il nuovo strumento, poteva distinguere dettagli della superficie del pianeta che non erano riportati in nessuna delle mappe disponibili all’epoca. Da quel giorno, il 23 agosto 1877, iniziò uno studio sistematico della topografia marziana, osservando il pianeta a ogni opposizione e pubblicando una serie di mappe che mostravano dettagli sempre più fini della superficie del pianeta, le più precise e dettagliate mai realizzate fino ad allora.

Mappa di Marte realizzata da G. Schiaparelli nel 1877.

Mappa di Marte realizzata da G. Schiaparelli nel 1877. Crediti: archivio storico dell’INAF Osservatorio Astronomico di Brera

All’epoca, in mancanza di una tecnica fotografica accettabile, il risultato delle osservazioni di un pianeta veniva reso pubblico mediante disegni di particolari della sua superficie eseguiti a mano: una procedura difficile e faticosa. A causa dell’imprecisione della tecnica e, soprattutto, a causa di effetti che si sarebbero rivelati successivamente delle vere e proprie illusioni ottiche, le mappe di Schiaparelli si popolarono di dettagli, come le strutture sottili e rettilinee che vennero chiamate canali.

Benché Schiaparelli sia sempre stato molto cauto nell’ipotizzare quale fosse la vera natura dei canali, altri astronomi – come Percival Lowell – presero posizioni molto più nette, asserendo che essi fossero opera di una civiltà extraterrestre che abitava Marte. Extraterrestri a parte, giova ricordare che solo le prime foto della superficie del pianeta scattate dalla sonda spaziale Mariner 4, nel 1965, e la prima mappatura realizzata da Mariner 9, nel 1971, misero fine alla disputa sulla presenza di acqua liquida su Marte.

Schiaparelli nell'osservatorio astronomico di Brera in un disegno di Achille Beltrame per La Domenica del Corriere del 28 ottobre 1900.

Schiaparelli nell’osservatorio astronomico di Brera in un disegno di Achille Beltrame per La Domenica del Corriere del 28 ottobre 1900.

Nel 1880 Schiaparelli ottenne un finanziamento per acquistare un telescopio ancora più potente. Il nuovo strumento, un rifrattore Merz con diametro di 18 pollici (49 cm) e lunghezza focale di 7 metri, all’epoca uno dei più grandi in Europa, giunse a Brera nel 1882 e fu usato su base regolare a partire dal 1886. Anche in questo caso, pur essendo alle prese con un cruento risanamento della finanza pubblica, il Parlamento del giovane Regno d’Italia votò l’acquisto del costoso cannocchiale «perché vi era un astronomo che lo valeva», come riportò Quintino Sella all’amico. Con il nuovo potente strumento, Schiaparelli continuò anche le osservazioni di Marte, definendo una nomenclatura tutt’ora utilizzata per molte “zone” del Pianeta rosso.

Nel 1889, Schiaparelli venne nominato Senatore del Regno d’Italia. Il 1900, l’anno di messa a riposo per raggiunti limiti d’età, fu anche l’anno in cui Schiaparelli smise – a malincuore – di osservare al telescopio per problemi alla vista. Morì il 4 luglio 1910 a Milano.

«Memoria poca, genio nessuno, molta pazienza e infinita curiosità di saper tutto. Questo è press’a poco il mio ritratto intellettuale». Così scrisse Schiaparelli in una lettera. La vastità della sua opera in effetti testimonia una curiosità sconfinata: dall’astronomia alle lingue orientali passando attraverso le teorie evoluzionistiche di Darwin, Schiaparelli seppe declinare il proprio ingegno nell’approfondimento di ogni campo del sapere, con grande rigore scientifico.

Con un’unica eccezione. «Un suo scritto risulta veramente anomalo sullo sfondo dei suoi grandi scritti scientifici, delle sette memorie per l’Accademia dei Lincei», racconta Mandrino, «È uno scritto del 1895 che s’intitola “La vita sul pianeta Marte”, apparso sulla rivista di grande e popolare diffusione “Natura ed Arte”. In questo saggio lui ipotizza davvero una vita prospera e altamente organizzata su Marte, che diventa addirittura il paradiso dei socialisti per la collettività di vita e di sistema di produzione». Il significato da dare a questo scritto può forse essere dedotto da un appunto scritto a matita dallo stesso Schiaparelli sulla copia ancora presente nella biblioteca dell’Osservatorio di Brera: “Semel in anno licet insanire”.

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