LE MISSIONI SPAZIALI UN RISCHIO PER GLI OCCHI

La vista dell’astronauta

In uno studio pubblicato sulla rivista della Federazione delle società americane per la biologia sperimentale viene evidenziato come una carenza di vitamina B in combinazione con un polimorfismo nel meccanismo di metabolismo dell'unità monocarboniosa, ad esempio per gli enzimi che regolano la produzione di omocisteina, renda alto il rischio di danni alla vista nel corso della permanenza nello spazio

     12/01/2016
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Autoritratto di Tracy Caldwell Dyson nel modulo Cupola della Stazione Spaziale Internazionale mentre osserva la terra di sotto nel corso della Expedition 24. Credits: NASA, Tracy Caldwell Dyson

Sapevate che i problemi della vista e il suo deterioramento sono considerati il maggior rischio per la salute degli astronauti? Ebbene sì, e lo dimostra una ricerca svolta su un gruppo di astronauti, condotta nel corso della loro permanenza a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) e di recente pubblicata sulla rivista della FASEB (Federazione delle società americane per la biologia sperimentale). Gli scienziati hanno individuato una correlazione genetica tra gli astronauti che evidenziavano problematiche alla vista. Correlazione consistente, per dirla in puro gergo scientifico, nel polimorfismo genetico degli enzimi  che regolano il metabolismo dell’unità monocarboniosa. In pratica, variazioni genetiche in questi enzimi sono alla base di molte malattie nell’uomo, tra le quali – solo a titolo di esempio – quelle cardiovascolari, l’ictus e la sindrome dell’ovaio policistico. Insomma, alla fine di una permanenza nello spazio, dopo aver superato varie difficoltà oggettive ed aver affrontato il viaggio di andata e ritorno gli astronauti si potrebbero trovare a dover fare i conti con questa conseguenza della permanenza in microgravità.

Scott M. Smith, ricercatore presso la Divisione per la Ricerca Biomedica e le Scienze Ambientali della NASA e coinvolto nel team di ricerca che ha svolto lo studio, sottolinea come la comprensione della relazione tra questa variazione genetica e i danni alla vista, oltre a poter aiutare a prevenire i danni negli astronauti, potrà avere delle ricadute per tutte le persone che sulla terra soffrono della stessa variazione genetica e delle malattie collegate. «Non conosciamo ancora il meccanismo che è alla base e che causa le problematiche della vista negli astronauti ma, nel momento in cui avremo ben chiaro su quale campione concentrare le ricerche potremo perfezionare lo studio e trovare le cause del disturbo, cercando al contempo una possibile cura, o almeno delle forme di prevenzione dei danni».

Gli scienziati hanno per prima cosa identificato le differenze biochimiche negli astronauti con disturbi della vista, nello specifico hanno trovato in questi soggetti un elevato livello nella produzione di omocisteina. Lo studio è proseguito poi analizzando un piccolo numero di variazioni nel metabolismo dell’unità monocarboniosa. Le analisi sono state effettuate grazie alla raccolta di campioni di materiale ematico che hanno permesso la tipizzazione del DNA degli astronauti sfruttando altre analisi biochimiche e metaboliche, incluse misurazione della vista e di altri parametri oculari. L’analisi incrociata dei dati ha permesso di stabilire che almeno due variazioni genetiche rappresentano un fattore determinante nel manifestarsi di disturbi alla vista in ambienti sottoposti a microgravità. I ricercatori hanno inoltre raccolto evidenze del fatto che i disturbi alla vista siano legati anche alla presenza nel sangue di un basso livello di vitamina B.

Thoru Pederson, Direttore responsabile della rivista del FASEB, sottolinea come questo studio apra una nuova prospettiva su quali siano le cause dei problemi alla vista che si verificano negli astronauti «Ricerche più approfondite sugli aspetti genetici e nutrizionali della questione, aiuterebbero a risolvere quelle problematiche della vista riscontrate in un ambiente in microgravità, ma aiutare – in condizioni diverse – anche sulla Terra».