DALLE OSSERVAZIONI DI COROT E KEPLER

Come ti studio la variabilità stellare

Una serie di osservazioni realizzate dai satelliti CoRot e Kepler suggerisce che due casi mettono in discussione l’attendibilità di uno strumento che viene comunemente utilizzato per gli studi sulle pulsazioni stellari. I risultati, riportati su Astronomy & Astrophysics, implicano che sarà necessaria una revisione dei metodi di analisi dei dati

     03/12/2015

Illustrazione delle onde acustiche in una stella. Credit: ESO

Il moto del gas all’interno di una stella causa la generazione di onde sismiche che, a loro volta, danno luogo ad una serie di irregolarità sulla superficie della stella. Questi “stellamoti”, meglio noti come pulsazioni stellari, producono variazioni periodiche della luminosità stellare e il loro studio permette di ricavare preziosi indizi sulla struttura e i processi fisici che avvengono nelle stelle. Oggi, un gruppo di ricercatori, guidati da Javier Pascual dell’Institute of Astrophysics of Andalusia (IAA-CSIC), ha esaminato gli strumenti utilizzati per interpretare i dati trovando che i metodi utilizzati da diverse decadi non sono più applicabili a livello universale. I risultati di questo studio sono pubblicati su Astronomy & Astrophysics.

Esistono diversi casi in cui lo studio delle pulsazioni, note generalmente con il nome di variabilità stellare, pongono un problema: stiamo parlando delle stelle con periodi di pulsazione che nessun modello può predire e di quei casi dove i modi della pulsazione predetti dai modelli non avvengono nella realtà. «Di fronte a queste problematiche, abbiamo deciso di rivedere l’intero processo di analisi, tra cui gli stessi strumenti utilizzati per interpretare i dati», spiega Pascual, l’autore principale dello studio.

In tal senso, una delle difficoltà che hanno dovuto affrontare i ricercatori è nota con il termine periodogramma. «Lo scenario ideale per studiare la variabilità stellare sarebbe quello di osservare una stella per un intervallo di tempo ‘infinito’ in modo da testare la frequenza della sua pulsazione», dice Pascual. «Ma dato che ciò è impossibile, abbiamo utilizzato i periodogrammi per estrarre le frequenze da un insieme limitato di osservazioni, assumendo che le frequenze rimangano costanti nel corso del tempo».

Ad ogni modo, affinchè sia garantito il metodo del periodogramma, occorre un requisito: la curva di luce stellare, che riflette l’aumento e la diminuzione della sua luminosità, deve variare progressivamente. «Finora, è stato assunto che le pulsazioni stellari fossero progressive e ci siamo chiesti fino a che punto fosse così, poiché ci sono dei casi che mostrano brusche variazioni di luminosità», fa notare Pascual. Invece, gli autori hanno trovato che in due casi, le stelle denominate con le sigle HD174936 e KIC006187665 osservate, rispettivamente, con i satelliti CoRoT e Kepler, esibiscono improvvise variazioni di luminosità, un segno inequivocabile che gli strumenti di analisi utilizzati fino ad oggi non sempre sono adeguati.

I periodogrammi vengono utilizzati in diversi campi scientifici, dalla geologia e biologia alla econometria. «Questi risultati illustrano il fatto che, in contrasto con quanto viene generalmente accettato, i periodogrammi non possono essere utilizzati in ogni studio scientifico», aggiunge Pascual. «Infatti, se essi vengono utilizzati senza che siano state precedentemente controllate le condizioni iniziali che garantiscano il loro utilizzo, i periodogrammi possono dare risultati fuorvianti».

Analogamente, secondo i ricercatori, tutto questo vale non solo per lo studio della variabilità stellare, per cui sarà necessaria certamente una revisione dei metodi di analisi dei dati, ma anche per altri campi di ricerca in cui l’uso dei periodogrammi è ancora considerato un valido strumento.


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