GAP TRA I DISCHI PROTOPLANETARI

Pianeti nascosti? Magari è solo un’illusione

Le regioni scure nei dischi ci sembrano vuote perché in realtà potrebbero essere realmente vuote, visto che le particelle più grandi si aggregano formando oggetti più densi (non per forza pianeti) e le particelle più piccole spariscono

     05/11/2015

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Gli astronomi sono soliti pensare che negli spazi vuoti all’interno dei dischi protoplanetari di polvere e gas attorno a giovani stelle siano nascosti pianeti in via di formazione (vedi Media INAF). Un recente studio afferma che potrebbe non essere sempre così: il gap scuro che spesso viene avvistato dalle sonde e dai telescopi a terra potrebbe essere nient’altro che un’illusione ottica, anzi un’illusione cosmica e quindi non la traccia di un pianeta nascosto.  Il fatto di non vedere luce provenire da alcune parti del disco, non vuol dire che ci sia per forza qualcosa lì dentro. Così la pensa Til Birnstiel (del Max Planck Institute for Astronomy), il quale ha condotto lo studio per conto dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics (CfA).

Il suo team di ricercatori ha studiato, a lunghezze d’onda nel visibile e nel vicino infrarosso, dischi che brillano a causa della luce dispersa nello spazio proveniente dalle stelle: i fotoni rimbalzano sulle piccole particelle che formano il disco e lo illuminano. Queste stesse minuscole particelle possono unirsi nel corso del tempo, fondersi e formare dei planetesimi od oggetti simili che eventualmente possono diventare dei veri e proprio pianeti. Le particelle, però, possono anche migrare dal disco allontanandosi dalla stella madre. Gli esperti hanno studiato il fenomeno utilizzando modelli creati con l’Hydra supercomputer cluster dello Smithsonian.

«Crescita, migrazione e distruzione possono avere degli effetti tangibili e osservabili. Nello specifico questi processi possono creare un gap apparente nel disco quando le piccole particelle che disperdono la luce vengono spazzate via», ha spiegato Birnstiel. Le regioni – in sintesi – ci sembrano vuote (scure) perché in realtà potrebbero essere realmente vuote, visto che le particelle più grandi si aggregano formando oggetti più densi (non per forza pianeti) e le particelle più piccole spariscono.

Riproduzione artistica di un giovane disco protoplanetario. Crediti: NASA/JPL-Caltech/T. Pyle (SSC)

Riproduzione artistica di un giovane disco protoplanetario. Crediti: NASA/JPL-Caltech/T. Pyle (SSC)

Allora come si fa a distinguere se ci sono o meno pianeti in via di formazione? La chiave per risolvere il mistero è quella di effettuare osservazioni a lunghezze d’onda maggiori (ad esempio usando strumenti che lavorano nelle radio) per cogliere questi grandi “sassi”. Il team di ricercatori continuerà lo studio osservando di nuovo il disco TW Hydrae (vedi Media INAF), un laboratorio naturale perfetto per studiare questi fenomeni, con l’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array (ALMA): se dovessero trovare grossi grani all’interno dell’apparente gap, ciò suggerirebbe che non c’è alcun pianeta. Al contrario, se il gap apparisse vuoto in queste osservazioni, allora la prova dell’esistenza di un pianeta invisibile sarebbe più forte.

Per saperne di più:

Leggi QUI lo studio pubblicato su Astrophysical Journal Letters: “Dust evolution can produce scattered light gaps in protoplanetary disks”, di Tilman Birnstiel et al.