ULTIME DA GAPS

Questione di tempismo

Decima pubblicazione, con una Letter su Astronomy&Astrophysics, per gli astronomi del programma osservativo Global Architecture for Planetary Systems (GAPS). Il monitoraggio e le misure effettuate in un lungo arco di tempo, pari a circa un anno e mezzo, hanno permesso di comprovare l’esistenza di un secondo pianeta attorno alla stella Kelt-6.

     27/08/2015

image50-730x411Per poter osservare oggetti celesti “piccoli”, lontani e poco luminosi rispetto alla loro stella madre, gli ingredienti necessari sono più d’uno. Sicuramente di primaria importanza è l’aspetto tecnologico per il quale lo spettrografo ad alta risoluzione HARPS-N, montato al Telescopio Nazionale Galileo e di cui si avvale il gruppo GAPS, può vantare altissime prestazioni.

L’altro aspetto fondamentale è il tempo che i ricercatori hanno a disposizione. La maggior parte dei fenomeni celesti avviene in tempi estremamente lunghi, se comparati alla nostra quotidianità: quello che si può ottenere in poche notti di osservazione in molti casi equivale allo scattare una fotografia di un gruppo di persone e a dovere, da quell’unica istantanea, evincere il corso della vita di ciascuno, l’età, l’attitudine, i legami affettivi e molto altro. Compito difficile, no? Così anche l’evoluzione di un sistema planetario dipende da molti fattori, e i parametri che caratterizzano l’orbita dei pianeti non sono deducibili da poche osservazioni. L’ideale sarebbe poter seguire quel dato sistema nel tempo raccogliendo un sempre maggiore numero d’informazioni.

Per questo motivo, un gruppo di astronomi del programma GAPS, coordinato da Mario Damasso dell’INAF di Torino, ha studiato per oltre un anno e mezzo la stella KELT-6, già nota per ospitare il pianeta transitante del tipo “Saturno caldo” (hot Saturn), denominato KELT-6b. Infatti, KELT-6b è un pianeta della massa paragonabile a Saturno ma con un’orbita molto vicino alla sua stella: tanto vicino che il suo “anno” è pari a solo 7,8 giorni! Di conseguenza, la sua temperatura superficiale è molto elevata.

Il nome hot Saturn è mutuato da quello degli hot Jupiter, noti per essere molto comuni dato che le loro grandi masse, pari o superiori a quella di Giove, e la loro vicinanza alla stella li rende rivelabili molto facilmente a causa delle variazioni che inducono sul moto della loro stella madre. Se tali variazioni sono invece indotte da pianeti meno massici e orbitanti a distanze paragonabili a quelle terrestri o anche più lontani, esse risultano molto minori e quindi più difficili da rilevare.

Il nome hot Saturn è mutuato da quello degli hot Jupiter, noti per essere molto comuni dato che le loro grandi masse, pari o superiori a quella di Giove, e la loro vicinanza alla stella li rende rivelabili molto facilmente a causa delle variazioni che inducono sul moto della loro stella madre. Se tali variazioni sono invece indotte da pianeti meno massici e orbitanti a distanze paragonabili a quelle terrestri o anche più lontani, esse risultano molto minori e quindi più difficili da rilevare.

Clicca per vedere l'animazione - (C) Emmanuel Pécontal

Clicca per vedere l’animazione – (C) Emmanuel Pécontal

L’indagine condotta dal gruppo GAPS è stata compiuta non solo per caratterizzare maggiormente l’hot Saturn KELT-6b ma soprattutto per indagare ulteriormente sui dati, relativi alla velocità radiale della stella, ottenuti nel 2014 al Keck Observatory – da un gruppo di ricercatori statunitensi coordinati da Karen Collins.

Le precedenti misure effettuate con lo strumento HIRES (High Resolution Echelle Spectrometer) montato al telescopio hawaiano, coprivano effettivamente l’orbita del pianeta KELT-6b ma la variazione osservata della velocità radiale della stella era solo parzialmente attribuibile ad esso.
Eliminato, infatti, l’effetto prodotto dall’hot Saturn rimaneva una variazione a lungo termine sulla quale però si potevano avanzare soltanto ipotesi. Una delle possibilità era che tale variazione di velocità fosse dovuta a un pianeta compagno, KELT-6c, la cui esistenza è stata ora comprovata proprio grazie ai dati raccolti da HARPS-N e dal Tillinghast Reflector Echelle Spectrograph (TRES – USA). Le precedenti osservazioni non avevano consentito di evincere una periodicità perché KELT6-c è risultato avere una periodo orbitale di circa 3 anni e mezzo!

kelt6_rv_orbit_yearSe si osserva il grafico a fianco a destra, si può capire questo punto. Esso mostra le misure della variazione di velocità radiale con il passare del tempo. Si vede come i dati rossi (HIRES al Keck) presi precedentemente degli altri, vengano perfettamente completati dai dati verdi (TRES al Tillinghast) raccolti dai colleghi statunitensi coautori della Letter) e da quelli blu (HARPS-N al TNG).

Il gruppo GAPS ha iniziato a raccogliere dati nel febbraio del 2014. Il grafico, ottenuto nell’arco di circa 3 anni e 3 mesi, ci restituisce quasi un’orbita completa di KELT-6c. Le due inversioni di tendenza in questa variazione di velocità da discendente ad ascendente grossomodo intorno a Novembre 2013 e viceversa intorno a Marzo 2015, ha portato quindi a dimostrare la presenza di un compagno di tipo planetario. Allo stesso tempo ha permesso di escludere che la variazione fosse attribuibile a un’attività propria della stella che potrebbe avvenire solo su intervalli di tempo molto più brevi.
E’ stata confermata quindi l’esistenza del pianeta KELT-6c che risulta massiccio, con una massa di almeno 3,71 masse gioviane, e che si muove lungo un’orbita moderatamente eccentrica con un periodo orbitale di 3,5 anni.

Ma non è finita qui. GAPS, come dice il nome, ha tra i suoi obiettivi primari proprio la caratterizzazione dei sistemi planetari, anche di quelli già noti ma di cui non sono state effettuate misure dettagliate. E in questo lavoro si è andati a fondo in particolare sul pianeta transitante, KELT-6b, di cui si è misurato l’effetto Rossiter – McLaughlin. Anche qui il tempo ha giocato il suo ruolo importante anche se in modo diverso dal precedente. Perché qui è stato fondamentale riuscire a eseguire le misure di un transito completo e in una sola notte. Compito non facile visto che il nostro hot Saturn transita in circa 5 ore, in questo caso da considerarsi un tempo lungo dal punto di vista dell’osservabilità di un oggetto celeste.
L’effetto Rossiter-McLaughlin (R-M) aiuta a descrivere la geometria dell’orbita del pianeta che transita davanti alla stella.

Diagramma schematico dell'Effetto Rossiter-McLaughlin. Crediti: Subaru Telescope,NAOJ L’effetto RM consiste in un’anomalia che si osserva nella velocità radiale quando il pianeta si muove lungo il tratto di orbita che si proietta sul disco della stella. La sua misura permette di determinare l’angolo tra l’asse di rotazione della stella e quello dell’orbita del pianeta. Il valore di questo angolo, che per nessun pianeta del Sistema Solare supera gli 8 gradi, fornisce indicazioni preziose sui meccanismi che plasmano la conformazione dei sistemi planetari.

Diagramma schematico dell’Effetto Rossiter-McLaughlin. Crediti: Subaru Telescope,NAOJ L’effetto RM consiste in un’anomalia che si osserva nella velocità radiale quando il pianeta si muove lungo il tratto di orbita che si proietta sul disco della stella. La sua misura permette di determinare l’angolo tra l’asse di rotazione della stella e quello dell’orbita del pianeta. Il valore di questo angolo, che per nessun pianeta del Sistema Solare supera gli 8 gradi, fornisce indicazioni preziose sui meccanismi che plasmano la conformazione dei sistemi planetari

Grazie alle misure dell’effetto R-M è stato possibile determinare le caratteristiche orbitali di KELT-6b, il nostro hot Saturn, che presenta un’orbita circolare, prograda (ovvero con moto in senso orario se visto dal basso) e di poco non allineata con il piano orbitale del sistema.

«Con questi dati il sistema KELT-6 acquisisce un’importanza fondamentale per quel che riguarda lo studio della formazione e dell’evoluzione dei sistemi planetari: ci sono infatti solo una manciata di sistemi con un pianeta gigante interno e un compagno planetario in un’orbita esterna, di cui conosciamo l’inclinazione spin-orbita (proiettata nel piano del cielo)», dice Mario Damasso, che aggiunge: «l’averlo studiato con così grande dettaglio ci ha permesso di fare considerazioni sulla sua evoluzione dinamica e stabilità. I suoi elementi orbitali rappresentano gli ingredienti giusti per applicare la ricetta descritta dal meccanismo di migrazione co-planare di alta eccentricità. Questa teoria avvalora l’idea che gli hot Jupiter (o hot Saturn come nel nostro caso) si siano formati attraverso interazioni gravitazionali di lungo periodo con un pianeta più esterno, di grande massa, su un’orbita iniziale estremamente eccentrica che si è andata circolarizzando nel corso del tempo per effetto mareale con la stella ospite al periastro».

Il gruppo GAPS ha in sostanza verificato, grazie alle misure ottenute con l’effetto Rossiter – McLaughlin, che un tale meccanismo di migrazione può spiegare l’architettura del sistema come la vediamo oggi. In particolare il come KELT-6b sia finito su un’orbita così vicina alla propria stella. Naturalmente questa è una delle possibili spiegazioni: i meccanismi di formazione ed evoluzione dei sistemi planetari sono un campo d’indagine ancora poco conosciuto, molto complesso e sicuramente estremamente variegato a seconda dei casi.

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