PICCOLI E COMPATTI

Scoperti i sistemi stellari più densi

Si chiamano M59-UCD3 e M85-HCC1 e si tratta di due galassie nane ultra-dense e compatte, identificate da due studenti della San José State University. I primi dati suggeriscono che molto probabilmente questi oggetti siano ciò che rimane dell'interazione gravitazionale con galassie più grandi. I risultati di questo studio sono pubblicati su Astrophysical Journal Letters

     28/07/2015

Due studenti della San José State University hanno scoperto due galassie che risultano le più dense finora conosciute. Simili ad ammassi globulari ordinari ma con una luminosità da centinaia fino a qualche migliaia di volte superiore, queste strutture stellari presentano proprietà intermedie in termini di dimensione e luminosità tra le galassie e gli ammassi stellari. I risultati di questo studio sono pubblicati su Astrophysical Journal Letters.

M59-UCD3___M85-HCCI

Le immagini mostrano, negli inserti, le due galassie nane ultra-compatte che orbitano attorno a galassie più grandi. Si ritiene che una volta erano galassie normali che poi sono rimaste prive della parte più esterna a seguito dell’interazione mareale con le galassie ospiti, un processo che ha lasciato inalterato solo il nucleo centrale più denso. Credit: A. Romanowsky (SJSU), Subaru, Hubble Legacy Archive

Il primo sistema che è stato identificato, denominato con la sigla M59-UCD3, è 200 volte più piccolo della Via Lattea e ha una densità stellare 10 mila volte più grande di quella presente nei dintorni del Sole. Ad un osservatore che fosse localizzato nel nucleo di M59-UCD3, il cielo notturno apparirebbe come una sorta di display brillante illuminato da circa un milione di stelle. La densità stellare del secondo sistema, M85-HCC1, è ancora più elevata: circa un milione di volte quella del nostro quartiere solare. Entrambi i sistemi appartengono ad una nuova classe di galassie note come nane ultra-compatte (Ultra Compact Dwarfs, UCDs).

Lo studio, guidato dai due studenti Michael Sandoval e Richard Vo, è stato realizzato facendo uso dei dati della Sloan Digital Sky Survey (SDSS), del telescopio Subaru, del telescopio spaziale Hubble e di dati spettroscopici ottenuti mediante il Goodman Spectrograph installato presso il Southern Astrophysical Research Telescope (SOAR) al Cerro Tololo Inter-American Observatory. Lo spettro ricavato dal telescopio SOAR è stato utilizzato per mostrare che M59-UCD3 è associata ad una galassia ospite più grande, M59, e per misurare l’età e l’abbondanza degli elementi presenti nelle stelle della galassia.

«I sistemi stellari ultracompatti come questi sono facilmente identificabili, una volta che si sa dove osservare», spiega Richard Vo. «Ad ogni modo, essi sono stati trascurati per decenni perchè nessuno immaginava che tali oggetti potessero esistere: diciamo che si nascondevano alla vista. Nel momento in cui scoprimmo una UCD, in maniera del tutto fortuita, ci rendemmo subito conto che ne dovevano esistere altre, perciò abbiamo deciso di scovarle».

Gli studenti sono stati motivati dal fatto che tutto ciò che serve per ottenere una scoperta è avere una buona idea, un sostanzioso archivio dati e molta dedizione. L’ultimo elemento è stato cruciale poiché gli studenti hanno lavorato al progetto in base al loro tempo a disposizione. «La combinazione di questi elementi e l’utilizzo degli strumenti spettroscopici messi a disposizione dalle strutture nazionali è un bel modo per attrarre gli studenti verso la ricerca astronomica sul campo, specialmente per le università come la San José State University che manca di un budget dedicato alla ricerca e delle proprie strutture», dice Aaron Romanowsky, tutor della facoltà e co-autore dello studio.

Illustrazione artistica del cielo notturno visto da un pianeta situato nel cuore di una galassia ultra-compatta. Più di un milione di stelle sono visibili ad occhio nudo rispetto alle poche migliaia di stelle visibili da Terra. Credit: NASA, ESA, G. Bacon (STScI) e P. van Dokkum (Yale University)

La natura e l’origine delle galassie UCD rimane ancora un mistero. Non è chiaro se si tratta di nuclei residui di galassie nane che sono state distrutte dalle forti interazioni mareali, se si tratta di super ammassi stellari che si sono fusi o ancora se si tratta di galassie nane compatte che si sono formate a seguito delle minuscole fluttuazioni primordiali della materia oscura.

Secondo Michael Sandoval l’ipotesi dell’interazione mareale sembra essere più logica. «Uno degli indizi migliori è che alcuni oggetti UCD ospitano buchi neri supermassicci che sono ‘sovrappeso», dice Sandoval. «Ciò suggerisce che questi oggetti erano in origine galassie molto grandi in cui erano presenti buchi neri supermassicci ‘normali’ e che poi le parti più ‘soffici’ ed esterne vennero strappate via lasciandosi dietro solo i nuclei centrali molto più densi. Ciò è plausibile in quanto le UCD note si trovano vicino a galassie massive che possono essere state la causa dell’interazione mareale».

Un ulteriore evidenza deriva dalla presenza nelle UCD dell’elevata abbondanza di elementi pesanti come il ferro. Dato che le galassie più grandi sono delle fabbriche efficienti nella produzione di questi metalli, un elevato contenuto di metalli può indicare che la galassia doveva essere molto più grande. Per verificare questa ipotesi, il passo successivo sarà ora quello di investigare i moti delle stelle nelle regioni centrali dell’oggetto M59-UCD3 per cercare un buco nero supermassiccio. Insomma, la caccia alle UCD continua allo scopo di comprendere quanto sono comuni e quanto sono diverse.

Il video mostra un’animazione relativa alla formazione di una galassia ultra-densa e compatta: la galassia ospite gigante perturba e disgrega quella più piccola, privandola delle sue regioni più esterne e rade, lasciando solo il nucleo centrale più denso. L’animazione poi fa un ingrandimento su un eventuale pianeta e un buco nero supermassiccio. Credit: M. Sandoval, A. Romanowsky (SJSU)


arXiv: Hiding in plain sight: record-breaking compact stellar systems in the Sloan Digital Sky Survey