CIELO GRIGIO SU… I NETTUNI CALDI

Nubi d’elio all’imbrunire

Si chiama GJ 436b e si trova a 33 anni luce da noi. Stando alle osservazioni del telescopio spaziale Spitzer, la sua atmosfera, privata progressivamente dell’idrogeno, pare sia ora dominata dal più leggero fra i gas nobili. Una caratteristica condivisa da migliaia di pianeti extrasolari

     12/06/2015
Rappresentazione artistica di un esopianeta con un'atmosfera dominata dall'elio. Crediti: NASA/JPL-Caltech

Rappresentazione artistica di un esopianeta con l’atmosfera dominata dall’elio. Crediti: NASA/JPL-Caltech

Creature viventi è improbabile che lo popolino, ma se mai ve ne fossero parlerebbero tutte come Paperino. E i palloncini, là su GJ 436b, invece di alzarsi verso il cielo rimarrebbero sospesi a mezz’aria. Già, perché l’atmosfera di quel mondo remoto – si trova a circa 33 anni luce da noi – pare sia composta in gran parte da elio, il più leggero fra gli elementi subito dopo l’idrogeno.

Ad accorgersene, analizzando i dati raccolti dal telescopio spaziale Spitzer della NASA, un team di astronomi guidati da Renyu Hu del JPL. E stando a loro studio, in corso di pubblicazione su The Astrophysical Journal, non si tratterebbe di un’eccezione: a riprova del fatto che la varietà dei mondi che popolano l’universo supera ogni fantasia, sarebbero migliaia, nella sola Via Lattea, gli esopianeti avvolti da nubi nelle quali l’elemento chimico dominante è proprio il nobile gas.

Si tratta di pianeti giganti, dal nucleo liquido o roccioso, che rientrano nella classe dei cosiddetti nettuni caldi, benché con il nostro Nettuno, massa a parte, pare abbiano ben poco in comune. Orbitano infatti talmente vicini alla loro stella madre da ritrovarsi con anni che durano appena uno o due dei nostri giorni, e con temperature che superano allegramente i 1000 Kelvin – dunque ben oltre i 700 gradi.

Ecco come potrebbe formarsi, stando al modello messo a punto partendo dai dati di Spitzer, un'atmosfera ad alta concentrazione di elio a seguito della perdita progressiva d'idrogeno. Crediti: NASA/JPL-Caltech

Ecco come potrebbe formarsi, stando al modello messo a punto partendo dai dati di Spitzer, un’atmosfera ad alta concentrazione di elio a seguito della perdita progressiva d’idrogeno. Crediti: NASA/JPL-Caltech

Non solo: la ridotta distanza dalla stella madre provocherebbe, suggeriscono Hu e colleghi, l’evaporazione dell’idrogeno presente in atmosfera. «L’idrogeno è quattro volte più leggero dell’elio, dunque finirebbe lentamente per sparire dalle atmosfere di questi pianeti, facendo così aumentare nel tempo la concentrazione di elio. Un processo graduale», spiega Hu, «che impiegherebbe fino a 10 miliardi di anni».

Così private dell’idrogeno, le atmosfere di questi giganti extrasolari si ritroverebbero di conseguenza (vedi il riquadro più in basso del diagramma accanto) pure a corto di metano, il gas che conferisce a Nettuno le sue inconfondibili striature dalle mille gradazioni di blu. Questo perché ogni molecola di metano è a sua volta composta da un atomo di carbonio e da quattro atomi d’idrogeno. Ed è proprio la presenza, nello spettro d’emissione termica di GJ 436b, di carbonio senza metano a suggerire agli astronomi che l’idrogeno possa essere evaporato via, lasciando dietro di sé il carbonio in compagnia dell’ossigeno – monossido di carbonio, dunque, e anidride carbonica. E, appunto, un’elevata concentrazione di elio, tale da conferire al pianeta – e a quelli con analoga atmosfera – un’elegante colorazione perlacea.

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