L’ATMOSFERA PRIMA DI TUTTO

Esopianeti: dove cercare segnali di vita

Se c’è vita là fuori, ed è facile che ci sia, la intravedremo (sfocata e timida) illuminata dalla luce di una stella, nell’atmosfera di un pianeta lontano. Ma le biosignatures sono davvero la chiave della vita aliena?

     05/03/2015
Crediti: NASA / JPL.

Crediti: NASA / JPL.

«Segnali di vita nei cortili e nelle case all’imbrunire, le luci fanno ricordare le meccaniche celesti», canta Franco Battiato. Ma i segnali di vita (aliena) su un esopianeta, in una galassia lontana lontana, dove si trovano? Se c’è vita là fuori, ed è facile che ci sia, la intravedremo (sfocata e timida) illuminata dalla luce di una stella, nell’atmosfera di un pianeta.

Se c’è vita là fuori, ed è facile che ci sia, la intravedremo (sfocata e timida) illuminata dalla luce di una stella, nell’atmosfera esoplanetaria di un’altra Terra. Strenua difesa di Sara Seager, cacciatrice di esopianeti in forze al Massachusetts Institute of Technology, e il fisico William Bains sulle colonne di Science Advanced: l’atmosfera, l’atmosfera prima di tutto!

L’impronta della vita extraterrestre è nei gas che compongono il cielo dei pianeti extrasolari. Se il metabolismo degli organismi è in grado, come sappiamo, di alterare le componenti di un’atmosfera, una spettroscopia potrebbe essere risolutiva. Uno spettro di un’atmosfera aliena può rivelare la presenza di molecole di anidride carbonica, acqua, ozono, metano, ammoniaca.  Bio-impronte di cui sempre più dobbiamo andare in caccia.

Negli ultimi vent’anni abbiamo scoperto centinaia e centinaia di nuovi pianeti. Il sogno di un altro mondo capace di ospitare la vita in qualche remoto punto dell’Universo ha un fascino irresistibile. Ricercatori e astrofisici sono in cerca di pianeti simili al nostro per dimensioni, temperature e possibilmente all’interno della cosiddetta zona abitabile, la regione intorno a una stella dove è possibile trovare acqua liquida in superficie.

L’acqua e la vita possono trovarsi anche su Super-Terre che orbitano fuori dalla zona abitabile, a distanze dieci volte superiori di quelle che separano la Terra dalla sua stella, il Sole. A patto che le atmosfere di questi mondi contengano idrogeno gassoso a sufficienza, e quindi un effetto serra potente, capace di mantenere il calore all’interno dell’atmosfera e creare un clima mite nonostante le poche radiazioni ricevute in superficie. Allo stesso modo anche pianeti aridi e più vicini alle proprie stelle madri possono avere bisogno di una quantità minore di acqua per creare la vita, vista l’alta umidità atmosferica.

Quanto all’atmosfera: ogni molecola assorbe la luce in maniera diversa. È così che gli astronomi, osservando come l’atmosfera di un pianeta extrasolare assorbe la luce della sua stella, possono identificare di quali molecole siano composti i cieli di altri mondi. Dunque: bando alle ciance, concetriamoci sulle atmosfere. Ripetono Seager e Bains.

Il problema principale, a oggi, resta la nostra oggettiva incapacità tecnologica di determinare le caratteristiche di un pianeta. Al di là di massa, raggio e quantità di luce ricevuta non ci sono mezzi per analizzare in maniera esaustiva né atmosfera, né superficie e geologia dei pianeti alieni. Il James Webb Space Telescope NASA potrà certo dirci qualcosa di più su questi mondi lontani. Ma parliamo di domani.

Nel frattempo hanno dunque ragione coloro che ritengono prematuro, se non completamente superfluo, mettere in discussione il concetto di zona abitabile così com’è formulata? Finché non ci sono tecnologie disponibili ed efficienti, quello della zona abitabile resta il migliore degli strumenti possibili. Ma alle atmosfere staremo sempre più attenti, questo è certo.