DUE LAGHI ADATTI ALLA VITA

Ghiaccio e fuoco su Marte

Il fianco di un’enorme montagna avrebbe ospitato centinaia di chilometri cubici di acqua 210 milioni di anni fa, per un tempo forse sufficientemente lungo per lo sviluppo di forme di vita. Lo studio condotto dalla Brown University

     28/05/2014
Il punto in cui un tempo le pendici dell’Arsia Mons erano avvolte da un ghiacciaio, evidenziate dalle increspature del terreno in primo piano (i colori indicano l’altitudine). Crediti: NASA/Goddard Space Flight Center/Arizona State University/Brown University

Il punto in cui un tempo le pendici dell’Arsia Mons erano avvolte da un ghiacciaio, evidenziate dalle increspature del terreno in primo piano (i colori indicano l’altitudine). Crediti: NASA/Goddard Space Flight Center/Arizona State University/Brown University

Due laghi di circa 40 e 20 chilometri cubici di acqua sul suolo marziano “appena” 210 milioni di anni fa.  Questi laghi sarebbero stati generati dal “fatale” l’incontro tra ghiaccio e lava bollente. Questo incontro, avvenuto in seguito all’eruzione del possente vulcano Arsia Mons – uno dei monti più alti del Sistema Solare – avrebbe prodotto un ambiente adatto a ospitare la vita, il più recente scoperto finora. Sono questi i risultati di una nuova ricerca condotta da geologi della Brown University di Providence, nel Rhode Island, in collaborazione con il Lancaster Environmental Centre nel Regno Unito, e pubblicata su Icarus.

Secondo l’articolo, basato sullo studio di formazioni rocciose intorno all’Arsia Mons, queste eruzioni sarebbero avvenute lungo il fianco nord-occidentale del vulcano. Che è il terzo monte del Pianeta Rosso per altezza: all’incirca il doppio dell’Everest.

210 milioni di anni fa, quando quest’area era ricoperta da un ghiacciaio, il calore della lava ne avrebbe fuso buona parte, formando al suo interno alcuni laghi. Kat Scanlon, studentessa della Brown che ha guidato la ricerca, ha calcolato che il volume dell’acqua fusa ammonterebbe a centinaia di chilometri cubici.

“La cosa interessante”, spiega Scanlon, “è realizzare che Marte ha ospitato una grande quantità di acqua liquida in tempi molto recenti”.

Certo 210 milioni di anni potrebbe non suonare così recente, ma se si pensa agli altri ambienti abitabili scoperti sul Pianeta Rosso da Curiosity o da altri rover marziani, che risalgono ad almeno 2,5 miliardi di anni fa, si può dire che quest’area sia davvero giovane.

In realtà l’ipotesi che un tempo il fianco nord-occidentale dell’Arsia Mons ospitasse ghiacciai era già stata avanzata nel 1970, ed era poi ritornata in auge nel 2003, grazie a uno studio in cui il geologo Jim Head della Brown e David Merchant della Boston University avevano messo in evidenza la somiglianza tra le formazioni osservate sul vulcano marziano e quelle prodotte dal ritiro dei ghiacciai nelle valli secche dell’Antartide. Per esempio, dorsali parallele alle pendici della montagna che poi si smorzano fino a trasformarsi in morene – ammassi di detriti che si depositano sui bordi di un ghiacciaio mentre si ritira – o piccole colline, sempre frutto di detriti trascinati da un ghiacciaio in movimento.

Anche le previsioni di modelli climatici sviluppati più di recente per Marte – che tengono conto dei cambiamenti di pendenza dell’asse di rotazione del pianeta – erano in accordo con l’ipotesi che, un tempo, l’Arsia Mons abbia ospitato ghiacciai.

Nel corso della nuova ricerca sono emerse numerose prove a sostegno dell’ipotesi che in quell’area ghiaccio e lava siano entrati in contatto.

Analizzando i dati di Mars Reconnaissance Orbiter della NASA, Scanlon ha infatti rilevato la presenza di formazioni di lava a cuscino, molto simili a quelle che si creano sulla Terra quando la lava erutta dal fondo dell’oceano. Lo stesso avviene per altri tipi di formazioni che compaiono quando un flusso di lava viene confinato in uno strato di ghiaccio. In quel caso l’acqua gelida prodotta dalla fusione raffredda la lava così rapidamente da trasformarla in vetro vulcanico, che si condensa sotto forma di creste con fianchi scoscesi e cime piatte. I dati evidenziano anche la presenza di un fiume che si sarebbe formato durante un jökulhlaup, allagamento che si verifica quando l’acqua intrappolata in un ghiacciaio deborda.

Dalla dimensione di queste formazioni, Scanlon ha potuto stimare la quantità di lava che sarebbe entrata a contatto con il ghiacciaio. Poi le è bastata un po’ di termodinamica di base per calcolare la quantità di acqua che sarebbe derivata dalla fusione: due laghi di circa 40 chilometri cubici di acqua e altri 20 chilometri cubici di acqua.

Questa enorme quantità di acqua ricoperta di ghiaccio, secondo i ricercatori, sarebbe rimasta allo stato liquido per centinaia, o addirittura migliaia di anni. Un periodo abbastanza lungo, ipoteticamente, da consentire la colonizzazione di questi laghi da parte forme di vita microbiche.

“I microbi che abitano questo tipo di laghi sulla Terra sono stati oggetto di molte ricerche”, spiega Scanlon, “soprattutto per lo studio di Europa, la luna di Saturno, che è interamente ricoperta di ghiaccio”.

Secondo Jim Head del Lancaster Environmental Centre nel Regno Unito e co-autore della ricerca, quel ghiaccio potrebbe addirittura trovarsi ancora lì, sepolto sotto rocce e detriti. “Sarebbe interessante perché, probabilmente, al suo interno conserverebbe minuscole bolle di atmosfera marziana di centinaia di milioni di anni fa”.

E conclude: “Un tale deposito di ghiaccio potrebbe costituire una fonte di acqua utilizzabile in vista di una futura missione umana su Marte”.

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