SIMULAZIONI CONFERMANO I DATI DI SPITZER E AKARI

Taglia media per i buchi neri primordiali

Sarebbero i buchi neri con masse dell'ordine di centomila volte quella del Sole, formatisi quando l'Universo aveva meno di 300 milioni di anni e direttamente dal collasso dei primi aloni di materia primordiale, le sorgenti responsabili delle fluttuazioni di radiazione infrarossa di fondo registrate dai satelliti Spitzer e AKARI. Questi i risultati di uno studio a cui ha partecipato anche Ruben Salvaterra dell'INAF.

     17/06/2013

black_holeBuchi neri e universo primordiale. Due argomenti di frontiera dell’astrofisica contemporanea, dove molto è ancora da scoprire e spiegare. È facile quindi immaginare quanto sia complesso avventurarsi contemporaneamente nel loro studio: ovvero indagare quanti erano, come erano e quale è stato il ruolo dei buchi neri nelle prime fasi dell’universo. Nei giorni scorsi un lavoro guidato da Nico Cappelluti dell’INAF ha gettato nuova luce sull’argomento, mettendo in evidenza come il numero di questi oggetti estremi tra le prime stelle fosse molto più elevato di quanto ritenuto finora (vedi la news di Media INAF Moltissimi i buchi neri fra le prime stelle). Un risultato ottenuto mettendo in relazione le fluttuazioni della radiazione di fondo cosmico nei raggi infrarossi con quelle registrate nei raggi X. Ora una nuova indagine guidata da Bin Yue, dell’Accademia Cinese delle Scienze e a cui ha partecipato Ruben Salvaterra dell’INAF-IASF di Milano e Andrea Ferrara, della Scuola Normale Superiore di Pisa, fa un ulteriore passo in avanti per spiegare come questo inatteso affollamento di buchi neri nell’universo primordiale sia stato possibile. Il team, basandosi sui dati raccolti nell’infrarosso dai satelliti Spitzer della NASA e AKARI dell’agenzia spaziale giapponese JAXA, ha realizzato un modello teorico di formazione ed evoluzione dei buchi neri subito dopo il Big Bang, osservando dai dati della simulazione che la distribuzione e le proprietà della radiazione emessa sono in buon accordo con le osservazioni, sia nell’infrarosso che nei raggi X.

“Il nostro lavoro mostra come si possa spiegare l’esistenza di fluttuazioni nel vicino infrarosso e contemporaneamente nei raggi X come dovute all’emissione di buchi neri di massa intermedia (centomila volte la massa del Sole) nell’universo primordiale” spiega Salvaterra. “Questi buchi neri si sarebbero formati quando l’universo aveva meno di 300 milioni di anni, e direttamente dal collasso dei primi aloni di materia primordiale (ovvero una mistura di idrogeno ed elio) prodotta nel Big Bang. Il nostro modello dà conto del livello di fluttuazioni osservate nel vicino infrarosso riproducendo contemporaneamente il segnale misurato da Capelluti e collaboratori nei raggi X. Individualmente questi buchi neri non sono osservabili in quanto troppo deboli e lontani, ma la loro emissione complessiva appare evidente nelle osservazioni del fondo infrarosso e X”.

Un lavoro, dunque, indipendente e complementare che ora supporta anche dal punto di vista teorico i risultati osservativi che il team di Cappelluti ha ottenuto analizzando sia i dati nell’infrarosso raccolti da Spitzer che quelli nei raggi X registrati dal telescopio spaziale Chandra. Ma anche di sicuro interesse scientifico, tanto attirare l’attenzione della rivista Science che ha dato risalto ai risultati presentati attraverso una breve comunicazione tra gli Editor’s Choice di questa settimana.

“La nostra scoperta mostra come nell’Universo primordiale esista una grande popolazione di buchi neri di massa intermedia formatisi direttamente durante il collasso degli aloni primordiali” prosegue Salvaterra. “Molti studi teorici hanno individuato in questi oggetti gli antenati dei buchi neri di grande massa (centinaia di milioni o miliardi di volte la massa del Sole) che vediamo splendere come quasar. Oltre a spiegare quantitativamente alcune osservazioni fino a ora misteriose, la nostra interpretazione della natura delle fluttuazioni infrarosse e nei raggi X permette quindi per la prima volta di dare una base osservativa (seppure indiretta) a tali teorie e di accedere a un’epoca della storia dell’universo ancora tutta da esplorare”.

Per saperne di più: 

l’articolo Infrared background signatures of the first black holes di Bin Yue, Andrea Ferrara, Ruben Salvaterra, Yidong Xu e Xuelei Chen pubblicato sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.