LE TRACCE IN UNA METEORITE

Un cuore liquido nel passato di Vesta

L’analisi di un frammento di eucrite trovato in Antartide sembra confermare che l’asteroide, in un lontano passato, era avvolto in un campo magnetico generato dall’effetto dinamo. Maria Cristina De Sanctis (INAF): «Vesta appare così sempre più simile alla Terra».

     11/10/2012

Struttura cristallina della meteorite ALHA81001. L'immagine rappresenta una sezione 0.5x0.35 mm della meteorite vista al microscopio elettronico. Le regioni più scure sono composte da un materiale a grana fine che conserva tracce dei campi magnetici un tempo presenti su Vesta. Crediti: MIT Paleomagnetism Laboratory e MIT Experimental Petrology Laboratory

L’hanno rinvenuta fra i ghiacci del Polo Sud una trentina d’anni fa, nel 1981, ma la storia che si porta dentro è molto più antica: risale agli albori del Sistema solare. È una meteorite di tipo HED, in particolare un’eucrite, e potrebbe contribuire a gettar luce sulla natura primordiale di un corpo celeste distante da noi centinaia di milioni di chilometri: l’asteroide Vesta, oggetto fino allo scorso settembre di numerose osservazioni ravvicinate da parte della sonda Dawn della NASA. In particolare, ciò che il team guidato da Roger Fu, dottorando in geofisica al MIT, ha appena dato alle stampe su Science è uno studio che confermerebbe la presenza sull’asteroide – in un’epoca remota, 3.69 miliardi di anni fa – dell’effetto dinamo. Ovvero, di un campo magnetico indotto da un nucleo metallico allo stato liquido in rotazione all’interno del protopianeta.

L’interrogatorio al quale Fu e colleghi hanno sottoposto ALHA81001, questo il nome con il quale è stata etichettata la meteorite antartica, si è svolto in due passaggi. Anzitutto, per stabilirne la provenienza, gli scienziati hanno osservato la composizione isotopica della roccia, rinvenendo così la firma pressoché inconfondibile dell’asteroide Vesta. Poi ne hanno scansionato una dozzina di frammenti al microscopio elettronico, ed è in questa fase che sono emersi residui evidenti di un passato magnetico, quello che i ricercatori chiamano natural remanent magnetization. Proprio come un fossile, il reticolo cristallino di ALHA81001 ha mostrato l’impronta dell’azione di un campo magnetico, sulla superficie dell’asteroide, di almeno 2 microtesla (sulla superficie terrestre, per fare un confronto, la densità del flusso magnetico va dai 30 ai 50 microtesla).

«L’esistenza di meteoriti “magnetizzate” era già nota, così come l’ipotesi che Vesta avesse potuto sviluppare un campo magnetico», ricorda Maria Cristina De Sanctis, dell’INAF-IAPS di Roma, team leader dello spettrometro VIR a bordo di Dawn. «Questa ricerca  sembra confermare l’ipotesi di un’antica dinamo nel passato dell’asteroide. La missione Dawn ha  evidenziato la presenza di un nucleo metallico di circa 100 km di raggio. Quando il nucleo era fuso, i movimenti di materia possono aver generato un campo magnetico come quello di cui oggi si ha traccia in queste meteoriti. La presenza di un campo magnetico può a sua volta aver “preservato”  la superficie di Vesta dall’azione del vento solare, come sembrano indicare le misure dello strumento VIR a bordo di Dawn, che rivelano uno space weathering diverso da quello che agisce sulla Luna. E quella che emerge dalle osservazioni di Dawn, insieme ai dati di laboratorio e ai modelli teorici, è una Vesta sempre più simile a un piccolo pianeta come la Terra».

Per saperne di più:

  • Leggi su Science l’articolo “An Ancient Core Dynamo in Asteroid Vesta“, di Roger R. Fu, Benjamin P. Weiss, David L. Shuster, Jérôme Gattacceca, Timothy L. Grove, Clément Suavet, Eduardo A. Lima, Luyao Li e Aaron T. Kuan