LO SPECIALE DI SCIENCE

Buchi neri, qualche certezza e molte domande

Science fa il punto sullo studio di questi oggetti con una serie di articoli, tra cui quello di Tomaso Belloni (INAF) sui buchi neri di massa stellare. Ma il futuro dell'astronomia X su cui si basano queste ricerche appare incerto.

     02/08/2012

A sinistra un'immagine ottica di Cygnus X-1 dallo Digitalized Sky Survey. A destra una sua rappresentazione artistica (DSS/NASA/CXC/M.Weiss)

Un tempo erano materiale per la fantascienza o rompicapo per i fisici teorici, ma i buchi neri si sono guadagnati ormai da anni un ruolo fondamentale nella descrizione dell’ecosistema cosmico, e il loro studio è fondamentale per astrofisica e cosmologia. Sappiamo per certo che esistono, e quelli più massicci che si trovano al centro di molte galassie, a cominciare dalla nostra che ne ospita uno di massa pari a 4 milioni di volte quella del Sole. Altri invece, di dimensioni più piccole e massa paragonabile a quella delle stelle, si trovano sparsi per le galassie. Molte domande, però, restano ancora attorno a questi oggetti, veri e propri banchi di prova su grandissima scala delle previsioni della Relatività Generale. Cosa succede quando due buchi neri si scontrano? Come si può spiegare il loro comportamento nell’ambito della meccanica quantistica? Come si formano i buchi neri di massa intermedia rivelati da recenti osservazioni?

Queste e altre domande sono al centro dello speciale che questa settimana la rivista Science dedica a questi oggetti cosmici. Quattro articoli, aperti da quello di Kip Thorne, uno dei grandi padri della moderna teoria dei buchi neri. E tra questi una review dedicata ai piccoli della famiglia, i buchi neri di massa stellare, firmata da Tomaso Belloni dell’Osservatorio Astronomico di Brera assieme a Rob Fender dell’Università inglese di Southampton. I due autori passano in rassegna quanto sappiamo e quanto non sappiamo su questi oggetti che rappresentano il punto finale dell’evoluzione delle stelle di massa più grande. Ricordano che la prova principale della loro esistenza viene dallo studio dei sistemi binari che emettono in raggi X (x-ray binary systems, XRBs), in cui uno dei due oggetti risucchia materia dall’altro emettendo energia grativazionale. Quando uno dei due oggetti è un buco nero si parla di black hole x-ray binary (BHXRB).

Il primo oggetto candidato a essere riconosciuto come un oggetto di questo tipo fu Cygnus X-1, al centro di una famosa scommessa tra Kip Thorne e Stephen Hwaking sulla sua natura (vinse Thorne, perché il sistema comprende effettivamente un buco nero).

“Un buco nero è un oggetto molto semplice, caratterizzato da pochi numeri, e la sfida è prima dimostrare la sua esistenza e poi misurare quei numeri” spiega Belloni. “Rispetto a buchi neri più grandi, quelli di massa stellare hanno il vantaggio di causare variazioni molto più veloci nella luminosità della materia attorno. In questo modo è più semplice determinare indirettamente i parametri del buco nero, e studiare così alcuni aspetti della Relatività Generale. Per esempio, essa prevede che ci sia un’orbita minima attorno a cui una particella può orbitare. Se riusciamo a misurare quell’orbita minima avremo confermato una previsione della relatività generale, e lo studio di questo tipo di oggetti potrebbe permetterlo”.

I ricercatori stimano che ci siano circa 100 milioni di buchi neri di massa stellare nella nostra galassia, e le caratteristiche fondamentali della loro emissione X sono state studiate, e vengono descritte da Fender e Belloni. Le principali domande per il futuro, spiega l’astrofisico italiano, riguardano l’accrescimento, ovvero la caduta di materia attorno e dentro al buco nero. “Abbiamo una stella che perde gas, questo cade sul buco nero e forma una struttura complicata a forma di disco che noné ancora del tutto compresa. Negli ultimi anni poi si è capito che non tutta la materia che arriva cade poi nel buco nero, ma una parte viene sputata fuori. La dinamica di questi fenomeni è chiaramente collegata ai parametri fondamentali del buco nero, ma si sta cercando di capire come”.

Rispondere a queste domande, però, potrebbe rivelarsi difficile nei prossimi anni, per la mancanza di strumenti adatti. “Il futuro dell’astronomia X non sembra particolarmente favorevole” fa notare infatti Belloni.” Lo studio dei buchi neri di massa stellare è stato molto aiutato da un satellite della NASA, Rossi X-Ray Timing Explorer (RXTE), che per 16 anni ci ha permesso di fare centinaia di osserva zioni di questi oggetti. A gennaio di quest’anno è stato spento, e gli strumenti rimasti non permettono una copertura così continua. D’altro canto i radiotelescopi, molto importanti per osservare i getti di materia, stanno entrando in un’epoca d’oro. E permetteranno di fare nella banda radio quello che finora si era fatto per quella X”. Peccato che per diversi anni verrà a mancare proprio quella copertura continua della banda X. “Per il futuro più lontano la migliore possibilità sarebbe il satellite LOFT, che è stato da poco proposto all’ESA, peraltro con un ruolo fondamentale dell’INAF. Ma deve ancora essere accettato, e nella migliore delle ipotesi non volerà prima del 2020, che vorrebbe dire un buco osservativo di otto anni”.

 

https://www.youtube.com/watch?v=RAWC2donJJI&feature=youtu.be