RICERCA INGEGNOSA SULLE SUPERNOVAE IA

L’album delle immagini scartate

La risposta a uno fra i più intriganti enigmi dell’astrofisica – quale coppia di stelle occorre per dare origine a una supernova Ia? – potrebbe celarsi negli “spettri spazzatura” della Sloan Digital Sky Survey. Ecco l’avvincente storia di uno studio interamente condotto con materiale di recupero.

     29/02/2012

In questo mosaico d’immagini, 99 delle circa 4000 nane bianche analizzate da Badenes, Maoz, Bickerton e colleghi. Crediti: Carles Badenes and the SDSS-III team

Questa la tengo, queste due le butto. Una volta lo facevano solo i fotografi professionisti: tre scatti in successione, con esposizioni differenti, per poi scegliere il migliore. Oggi che le digitali hanno azzerato il costo della pellicola, succede anche noi: scattiamo molte più foto di quante ce ne occorrano, per poi decidere quali tenere solo in un secondo tempo. E qualcosa di analogo lo fanno anche gli astronomi della Sloan Digital Sky Survey (SDSS): per produrre lo spettro di una stella, il telescopio misura in realtà tre o più “sotto-esposizioni”, che sommate danno poi il risultato finale. Una tecnica che permette di ridurre drasticamente i disturbi introdotti dai raggi cosmici. E i tre spettri grezzi iniziali che fine fanno? Non destinati a essere resi pubblici, finiscono in una sorta di cestino, un archivio per il materiale di lavorazione, e nessuno se ne cura più. Ma non vengono eliminati.

Ebbene, proprio in questi dati di scarto potrebbe celarsi il segreto delle supernovae Ia: quelle candele-standard che, consentendoci di misurare quanto sta accelerando l’espansione dell’Universo, hanno fornito un indizio fondamentale dell’esistenza dell’energia oscura. Scoperta premiata giusto lo scorso anno con il Nobel per la Fisica. Ma qual è questo mistero che le avvolge? Molto in sintesi, è il mistero della seconda stella. Mentre conosciamo ormai in ogni dettaglio tutto ciò che accade durante l’esplosione di una supernova di tipo Ia, c’è infatti ancora incertezza sul tipo di stelle all’origine del fenomeno.

«Sappiamo che le stelle coinvolte devono essere due, e che una di loro è una nana bianca», spiega Dan Maoz, astronomo all’Università di Tel Aviv, in Israele, e coautore insieme a Carles Badenes, della University of Pittsburgh, di uno studio (non ancora pubblicato) appena messo in rete in cui è descritta la scoperta. «Ma sulla natura della seconda stella ci sono due possibilità, e non sappiamo con certezza qual è quella corretta, o se sono corrette entrambe». La seconda stella potrebbe infatti essere una stella “normale”, come il nostro Sole, oppure un’altra nana bianca: ruotando l’una attorno all’altra a velocità crescente, si fanno sempre più vicine, fino a che un giorno collassano, dando appunto origine a quel fuoco di artificio che è una supernova. «In realtà», dice Maoz, «sospettiamo che le supernovae di tipo Ia provengano dalla fusione di un sistema binario di nane bianche. Ma il grande punto di domanda è: ci sono, là fuori, abbastanza nane bianche doppie da giustificare il numero di supernovae di tipo Ia che osserviamo?».

Be’, contatele, verrebbe spontaneo suggerire. Già, ma c’è un problema: le nane bianche sono talmente piccole e deboli che non c’è alcuna possibilità di poter osservare quelle presenti in galassie remote. La statistica può però essere di grande aiuto: contando quelle presenti nel nostro vicinato, si può estrapolare il loro numero. Ed è quello che si sono accinti a fare Badenes e colleghi, scegliendo come campione le stelle comprese entro un raggio di circa mille anni luce dal Sole. Censimento, questo, già a disposizione degli astronomi, appunto nei dati raccolti dalla SDSS.

Alternanza di blueshift e redshift osservata in un sistema formato da una coppia di nane bianche. La misura dello spostamento, verso il blu o verso il rosso, indica la velocità della stella. Da questa è possibile calcolare in quanto tempo la coppia di nane bianche diventerà una supernova. Crediti: Carles Badenes and the SDSS-III team

A dire il vero, anche a distanza così ravvicinata è molto difficile individuare entrambe le stelle d’un sistema doppio di nane bianche. Ma per fortuna non è necessario. È infatti sufficiente vederne una, e osservare gli effetti che la compagna produce su di essa. Che effetti? Principalmente, una variazione di velocità. Orbitando l’una attorno all’altra a velocità da capogiro, centinaia di migliaia di chilometri all’ora, il loro movimento rispetto a noi che le osserviamo cambia continuamente: a tratti sembrano avvicinarsi, a tratti allontanarsi. Variazione che si riflette, grazie all’effetto Doppler, nel tipo di shift osservabile nei loro spettri: redshift, dunque verso il rosso, quando l’orbita le porta ad allontanarsi, e blueshift, verso il blu, quando invece si avvicinano (vedi immagine qui a fianco).

Ottimo, dunque. Procediamo con l’analisi degli spettri presenti nella SDSS. Già, ma per capire se la velocità di una stella varia nel tempo, uno spettro non basta: ne occorrono almeno due. Ma la SDSS ne mette a disposizione solo uno per sorgente… o no? Non se si recuperano gli “scarti”. La geniale intuizione è venuta, come spesso accade, durante una pausa caffè: nel bel mezzo d’una chiacchierata fra Badenes – all’epoca ricercatore postdoc a Princeton – e uno fra i “padri fondatori” della SDSS, Robert Lupton, uno fra i pochi a conoscenza dell’archivio degli “spettri scartati”. «Ho subito capito che quei sotto-spettri erano il pezzo mancante. Recuperati quelli, con i dati SDSS avremmo potuto fare esattamente quello che ci occorreva», ricorda Badenes.

Eravamo nel 2008. Da allora il lavoro non è stato certo in discesa: i dati di scarto, con il loro formato unfriendly, erano tutt’altro che semplici da analizzare. Ma con tenacia, spettro dopo spettro, Badenes e Maoz – aiutati da Steve Bickerton, un astronomo della Princeton University – sono alla fine riusciti a individuare all’interno del loro campione oltre 4000 nane bianche. E a stabilire che, di queste, solo 15 erano sistemi di nane bianche doppie. A quel punto, s’è trattato di calcolare – basandosi sulla Relatività generale di Einstein – quanto tempo occorre affinché in sistemi del genere le stelle si avvicinino fino a fondersi, e infine d’estrapolare: 15 sistemi binari di nane bianche in quel campione significa che, nella Via Lattea, dovremmo avere in media una fusione fra due nane bianche ogni secolo. Un intervallo sorprendentemente simile a quello delle esplosioni di supernovae di tipo Ia osservabili in galassie simili alla nostra.

Morale? Primo, la fusione di due nane bianche è una spiegazione plausibile per l’origine delle supernovae di tipo Ia. Secondo, mai buttare le vecchie foto.

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