INTEGRAL METTE IN FORSE IL MODELLO UNIFICATO

Non tutti gli AGN sono uguali

Gli Active Galactic Nuclei, i nuclei galattici formati da un buco nero supermassiccio attivo, sembrano riflettere la radiazione X in modo diverso a seconda della densità delle nubi di gas che li avvolgono. Lo studio, condotto su 165 sorgenti, potrebbe spiegare almeno in parte l’origine del fondo cosmico X.

     03/08/2011

Rappresentazione artistica di un assorbitore isotropico a diverse densità. In alto a sinistra, quello che potrebbe essere il nucleo attivo di una galassia Seyfert 2 “Lightly Obscured” (LOB), come NGC 4258, mostrata nel riquadro sottostante. In alto a destra, l’AGN di una Seyfert 2 “Mildly Obscured” (MOB), come NGC 4941, anch’essa mostrata nel riquadro sottostante. Crediti: ESA / AOES Medialab and Adrian Zsilavec / Michelle Qualls / Adam Block / NOAO / AURA / NSF (NGC 4258); George Seitz / Adam Block / NOAO / AURA / NSF (NGC 4941).

La bellezza sta negli occhi di chi guarda, si dice. Una cosa analoga la pensano gli astronomi a proposito degli AGN, i nuclei galattici attivi: se l’energia che emettono ci appare più o meno intensa, non dipende tanto da come sono fatti, ma piuttosto da come sono orientati rispetto a noi che li osserviamo. Più precisamente, essendo circondati da uno spesso anello di gas – un “toro” – in grado di assorbire gran parte della radiazione emessa dal nucleo, più l’anello (guardandolo dalla Terra) è visto di taglio e più dovrebbero apparirci oscurati. Noto come “modello unificato degli AGN”, questo paradigma potrebbe però essere ora messo in crisi da uno studio, appena pubblicato su Astronomy & Astrophysics, che mostra come anche la densità e la distribuzione del materiale che forma l’anello – e non solo l’orientamento di quest’ultimo rispetto a noi – potrebbero giocare un ruolo rilevante.

Analizzando, nei dati prodotti dal satellite INTEGRAL dell’ESA, lo spettro d’emissione X – fra i 20 e i 250 keV – di un campione di 165 AGN più o meno oscurati, un team di astrofisici dell’Università di Ginevra ha infatti notato un’anomalia: le sorgenti per le quali, a energie più basse (dall’infrarosso ai raggi X soft, quelli al di sotto dei 10 keV), l’azione di assorbimento da parte dell’anello risulta maggiore mostrano, al tempo stesso, un eccesso d’emissione nella banda energetica più alta (i raggi X hard, o “duri”, quelli al di sopra dei 10 keV). «Il modello unificato prevede che tutti gli AGN, quando li osserviamo nella banda dei raggi X hard, mostrino lo stesso comportamento, indipendentemente dalle differenze d’emissione che potrebbero mostrare in altre bande», spiega Claudio Ricci, studente di dottorato all’ultimo anno presso il Data Center for Astrophysics di INTEGRAL (ISDC) dell’Università di Ginevra e primo autore dello studio. «Il toro assorbe più debolmente i fotoni con energia maggiore, e non dovrebbe avere proprio alcun effetto, per quanto riguarda gli oggetti nel nostro campione, sui fotoni X hard rilevati da INTEGRAL».

E allora, come si spiega la variazione osservata, all’interno del campione, nel range di energia compreso fra 30 e 60 keV? Secondo gli scienziati, l’emissione X hard in eccesso è radiazione riflessa, “rimbalzata” dall’idrogeno presente nelle dense nubi di gas che circondano il buco nero centrale. Quelle stesse nubi che sarebbero responsabili anche dell’assorbimento della radiazione a energie più basse, ipotizzano Ricci e colleghi. Più sono dense, dunque, e più raggi X hard riflettono, assorbendo al tempo stesso i fotoni meno energetici.

E se il fondo cosmico X fosse un riflesso?

Oltre che sul modello unificato degli AGN, che a questo punto richiederebbe qualche aggiustamento, la scoperta degli astrofisici di Ginevra potrebbe avere conseguenze anche per uno fra i maggiori punti interrogativi dell’astrofisica delle alte energie, e in particolare della scienza di INTEGRAL: l’origine del fondo cosmico X (CXB, Cosmic X-ray Background). «Una fra le pietre miliari di INTEGRAL è stata la prima misura accurata dell’intensità della CXB nella banda in cui la sua emissione è più forte», osserva Chris Winkler, il project scientist di INTEGRAL all’ESA. Il risultato è stato ottenuto nel 2006, ma non ha affatto posto fine al lungo dibattito sull’origine della CXB, anzi: l’enigma è diventato ancora più misterioso. L’intensità misurata sembrava essere di gran lunga superiore a quella che gli astronomi si attendevano dai modelli, elaborati sommando i contributi dei singoli AGN. Per spiegare l’emissione della CXB misurata da INTEGRAL, sarebbe dunque stato necessario un numero di AGN fortemente oscurati molto maggiore di quelli effettivamente osservati.

Ebbene, la scoperta del team ginevrino offre una possibile soluzione: aggiungendo la nuova radiazione X riflessa a quella precedentemente osservata per le singole sorgenti di radiazione CXB, i conti potrebbero tornare, senza dover ricorrere all’ipotetica esistenza di AGN sfuggiti alla vista. «È un risultato che si fonda su diversi anni di dati, acquisiti dal più sensibile telescopio per raggi X hard attualmente in funzione», sottolinea Winkler. «Mostrandoci dove si annida la parte mancante della CXB, INTEGRAL potrebbe avere risolto un mistero con il quale ci confrontiamo da 30 anni».

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